martedì 27 dicembre 2011

Trovo lavoro solo se mi fingo immigrato



di DAVIDE FABBRI, operaio disoccupato

Quando sei un operaio con prole e disoccupato e hai la peculiarità di essere italiano, in una regione ricca come l'Emilia Romagna sei un emarginato.
Mi chiamo Davide Fabbri, ho 43 anni e abito da quando sono nato nel comune di Cervia Milano Marittima, in provincia di Ravenna. 
Ho lavorato quest'estate, ma in questo momento sono disoccupato e quello che da due mesi mi sta succedendo è una politica di emarginazione, che definirei razzista e che voglio raccontare in questa lettera.

Ho lavorato per più di sette anni, dal febbraio 2001 all’ottobre 2008, come operaio-magazziniere e facevo anche il doppio lavoro come cameriere per mantenere le mie due figlie e pagare l'affitto e le varie spese. Ho fatto due volte la domanda per le case popolari, essendo nullatenente, ma non ho mai raggiunto il punteggio giusto.

La mia odissea è iniziata poco più di due mesi fa, esattamente il 3 dicembre del 2009; alle 12.30 avevo un incontro col sindaco della mia città, Roberto Zoffoli. Sapevo di essere un bravo cittadino e di non avere  avuto mai problemi di nessun genere, civili o penali. Sapevo anche che al comune erano state assunte persone bisognose, come immigrati stranieri sempre più numerosi, e mi sono messo a disposizione per qualsiasi lavoro, anche i più umili. Sapevo di aiuto giardinieri assunti per il mantenimento delle rotonde di Milano Marittima e ho tenuto presente che avrei lavorato ovunque, anche al cimitero e non lo dicevo per scherzo: avevo un mio amico albanese che ci lavorava da poco e si trovava molto bene. 
Lui, cortesemente, mi ha risposto che non aveva il potere di fare assunzioni, che quei lavoratori erano stati assunti da Hera o da altre aziende facenti capo alla regione Emilia Romagna e mi consigliava di guardare su internet, dove c'erano proposte di lavoro e di spedire il mio curriculum... 

Ho deciso di andare al sindacato dove mi hanno dato dei fogli con una lista stampata di possibili lavori e guardando bene erano gli stessi scaricati da internet. 

Fortunatamente, nei giorni successivi ho incontrato Antonio un amico immigrato di Reggio Calabria, come me lavoratore stagionale e nel momento presente disoccupato e ci siamo fatti coraggio. Abbiamo deciso di investire qualche mattina a Forlì, dove abbiamo in comune amici operai che ci consigliavano di fare la domanda di assunzione direttamente nelle loro aziende, perché vicino al Natale avevano bisogno di un maggior flusso di lavoro. 
Purtroppo nessuno dei due è stato assunto, ma la cosa inspiegabile è che, dopo pochi giorni dalla nostra domanda, venivano assunti immigrati stranieri, senza esperienza e curriculum e che parlavano a fatica l’italiano. 

Tornati a Milano Marittima ci siamo salutati e deluso e arrabbiato Antonio mi ha detto che tornava al suo paese e che non sarebbe più tornato in Emilia Romagna. Dopo pochi giorni è arrivato il Natale e sono stato con la mia famiglia e le mie splendide bambine in questi meravigliosi giorni di festa, facendo qualche servizio come cameriere, sono riuscito a sopravvivere, ma sapevo che dovevo prendere una decisione importante e infatti il 7 gennaio sono partito per andare a Bologna ospite da amici che volevano aiutarmi a superare i duri mesi invernali senza lavoro fisso. Sono andato all'ufficio di collocamento spalleggiato dai miei amici. Ma anche qui ho avuto le stesse magre risposte, la solita trafila burocratica. Ho così provato ad arrangiarmi, come facevo da ragazzo, cioè chiedere ai locali della sera, ai pub, ai ristoranti per andare a servizio, come cameriere, barman o lavapiatti. Ma tutto era esaurito e poi che prezzi; ho saputo si prendeva al massimo 40 euro a servizio. Così ho pensato che anche qui non si poteva andare avanti e ho deciso di tornare al mio paese, senza lavoro non potevo rimanere, dovevo spedire i soldi a casa per la mia famiglia e mi sentivo per la prima volta inutile e depresso, quando Anna fidanzata di uno degli amici che mi ospitava, mi ha dato un'idea per riscattarmi e almeno salvare l'onore. Mi ha detto: «Davide peccato che non sei straniero, il lavoro te lo avrebbero trovato». 
Così ieri, mercoledì 13 gennaio 2010, mi sono presentato ancora all'ufficio di collocamento era più o meno la stessa ora del venerdì prima ed ero vestito più o meno uguale, ma questa volta mi sono presentato con nome falso e soprattutto da straniero, l'altezza e i miei lineamenti celtici mi hanno aiutato a creare la favola, che venivo da Budapest, ero ungherese e cercavo lavoro. 

Fortunatamente non ho incontrato i burocrati della settimana prima. Ma questa volta devo dire sono stato fortunato, sorrisi, pacche sulle spalle. Uno mi ha anche raccontato di essere stato a Budapest, che dire ero sbalordito, naturalmente l'italiano non lo parlavo e usavamo un po’ l'inglese e il francese, per conversare, ma ho ben capito che il lavoro non mancava e che bisognava aspettare solo qualche giorno, anche perché l'Ungheria, mi dicevano è in Europa e coi documenti è più semplice per il lavoro. 

Uscendo da quell'ufficio mi sentivo stranamente sollevato, direi quasi felice; avevo capito che se non trovavo lavoro non era colpa mia ma del momento storico in cui vivevo. La mia unica colpa è di essere un italiano. 

Questa lettera vorrei che la leggesse il presidente della regione Emilia Romagna, Vasco Errani, che essendo il "capo" ha anche il dovere e la responsabilità di informarsi, di come è organizzato il lavoro e come si svolgono i fatti sull'occupazione degli italiani e lo invito a rileggere il primo articolo della Costituzione che recita: «L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro».

Libero, 20 gennaio 2010

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