martedì 2 ottobre 2012

Avvocato di strada - Intervista ad Antonio Mumolo, fondatore e presidente dell'associazione che tutela le persone senza dimora.


Intervista all'Avvocato Antonio Mumolo, fondatore e presidente dell'associazione "Avvocato di strada"
 a cura di Luchino Galli, blogger e mediattivista.

Avvocato Mumolo, quando nasce l’Associazione “Avvocato di strada” e quali finalità persegue?
Il progetto Avvocato di strada è nato nel 2001 all'interno dell'Associazione bolognese Piazza Grande, di cui sono socio fondatore, e che dal 1994 con vari progetti sostiene le persone che vivono in strada in situazioni di forte marginalità sociale. Piazza Grande ha fondato il primo giornale di strada italiano, scritto, redatto e venduto da persone senza dimora, ha creato due Cooperative Sociali, “La Strada” di Piazza Grande che si occupa di inserimento lavorativo e gestisce dormitori comunali e bagni pubblici, e "Fare Mondi" una cooperativa che realizza sgomberi e traslochi, e l'Associazione teatrale di Promozione sociale "Fraternal Compagnia" che fa recitare insieme senza dimora e persone che non provengono dal disagio. Principio guida che permea di sé tutte le iniziative di Piazza Grande è la convinzione che solo attraverso l’autorganizzazione e la ricerca di nuove strategie di intervento sociale volte a superare la propria condizione di utenti-oggetti, le persone possono diventare soggetti attivi, propositivi e capaci di gestire risposte innovative di superamento del proprio disagio socio-economico. All'interno di Piazza Grande ci eravamo resi conto che in poco tempo chi vive in strada finisce per accumulare varie problematiche legali che di fatto ne possono ostacolare il ritorno ad una vita comune. L'obiettivo di Avvocato di strada era proprio quello di riuscire ad offrire una tutela legale gratuita e professionale a tutti i senza tetto che altrimenti non avrebbero potuto far valere i propri diritti. Dopo essere partiti nel 2001, nel 2007 abbiamo fondato l'Associazione nazionale Avvocato di strada, che oggi è diffusa in tutto il territorio nazionale.

Chi si rivolge agli sportelli locali di tutela legale aperti dall’Associazione “Avvocato di strada” in trenta città italiane? E per quali motivi?
Ai nostri sportelli si presentano ogni giorno persone che vivono in strada, uomini e donne, giovani o anziani, italiani o stranieri che hanno problemi di vario genere. Ci sono persone che si rivolgono a noi perché sono state multate perché dormivano su una panchina o perché hanno preso un foglio di via e sarebbero obbligati a lasciare la città dove si trovano. Altri si rivolgono a noi perché hanno subito aggressioni o sono stati derubati, perché hanno problematiche legate alla patria potestà e ai figli minori. Poi ci sono tanti altri che si rivolgono a noi per uno dei problemi principali da noi affrontati: quello della residenza anagrafica. Chi vive in strada perde presto la residenza, e con essa viene privato di tanti diritti fondamentali: non può più votare, non può più ricevere una pensione neanche se ne ha diritto, non può aprire una partita IVA, e non ha diritto alle cure sanitarie continuative. In Italia la residenza anagrafica è talmente importante che la legge obbliga i Comuni a darla a tutte le persone che vivono in un dato territorio. I Comuni, però, troppo spesso preferiscono negare la residenza a chi vive in strada, e allora interveniamo noi.

Nel corso degli anni, come è cambiato l’utente dell’Associazione “Avvocato di strada”?
Fino a pochi anni fa le persone che finivano in strada avevano in genere altre problematiche oltre alla povertà. Si trattava di persone che avevano problemi di dipendenza da alcool o droghe, che avevano malattie particolari o disturbi psichici. Nel corso degli anni ci siamo resi conto che sono diventate sempre di più le persone che prima di finire in strada avevano un lavoro, una famiglia e non avevano avuto mai esperienze di esclusione. Oggi basta una malattia, un matrimonio che si rompe, un licenziamento: se non c'è una rete di amici o di familiari pronta a sostenerci, per tutti si possono spalancare le porte della strada.

Avvocato Mumolo, l’ordinamento giuridico italiano come tutela la persona senza dimora?
Purtroppo le persone deboli sono anche le meno tutelate. In Italia chi ha un reddito inferiore ai 10400 euro annui avrebbe diritto al gratuito patrocinio, ovvero ad un avvocato che verrà pagato dallo Stato. I senza tetto naturalmente hanno un reddito inferiore ai 10400 euro e ne avrebbero diritto, ma per fare la domanda devono avere una residenza anagrafica e devono presentare i documenti relativi alla propria problematica legale. Molto spesso i senza tetto non dispongono nemmeno dei propri documenti di identità e per questo di fatto non hanno quasi mai la possibilità di chiedere il gratuito patrocinio. A quel punto rimaniamo solo noi, che siamo nati proprio perché ci siamo resi conto di questa lacuna.

Le persone senza dimora aumentano giorno dopo giorno; sono l’espressione di un malessere sociale dilagante acuito da una crisi economica di cui non si intravede la fine; le politiche di contenimento salariale, la flessibilità lavorativa degenerata in precarietà, la disoccupazione adulta e giovanile ormai endemica e strutturale, la mancanza di adeguateforme di protezione sociale quanto hanno propiziato una simile deriva?
La crisi economica certamente sta influendo moltissimo il numero dei nuovi poveri, e la precarietà lavorativa è una spada di Damocle per tutti. In Italia purtroppo non possiamo disporre di un Welfare come quello dei paesi del nord Europa, dove se si perde il lavoro si può contare su un reddito di disoccupazione, si viene formati e si viene avviati ad un nuovo lavoro. Da noi se si perde il lavoro si rischia di rimanere disoccupati per anni, senza nessun aiuto che non sia di tipo puramente assistenziale. Tutte queste dinamiche, inoltre, a mio modo di vedere sono acuite dall'allentamento dei legami familiari e amicali e dalla parcellizzazione della nostra società.

Italia, Grecia e Ungheria sono i soli Stati membri dell’Unione europea a non aver ancora istituito il reddito minimo garantito; lo stesso Parlamento europeo, con Risoluzione del 20 ottobre 2010, afferma il ruolo del reddito minimo nella lotta contro la povertà e per la promozione di una società inclusiva in Europa, chiedendo agli Stati membri che ne sono privi “di prevedere l’introduzione di regimi di reddito minimo garantiti per prevenire la povertà e favorire l'inclusione sociale”.
Qual è la Sua posizione in merito, in qualità di fondatore e presidente dell’Associazione “Avvocato di strada”?
Come anticipavo nella risposta precedente, credo che la mancanza di un Welfare adeguato rappresenti un enorme problema per la tenuta della nostra società. Il reddito minimo, insieme ad altri strumenti quali la formazione costante e una flessibilità lavorativa che non pesi solo sulle persone, sarebbe una grande conquista. Su questi temi abbiamo bisogno di cambiare in fretta, e la politica non può aspettare ancora troppo. 

La povertà estrema è ovunque intorno a noi, nelle nostre città, nei nostri quartieri, nelle strade che percorriamo ogni giorno. A Suo avviso, come è possibile far crescere nel nostro Paese una cultura della solidarietà che contrasti efficacemente l’emarginazione e l’esclusione sociale in cui sono precipitate molte persone e famiglie?
I modelli culturali imperanti ci vorrebbero tutti belli, biondi e ricchi e la povertà viene considerata una colpa di cui ci si dovrebbe vergognare. Purtroppo siamo arrivati a questa situazione con un processo lungo anni, che sarà difficile invertire. Per combattere gli effetti negativi di questa cultura abbiamo bisogno di giusti interventi e di ripartire dal piano dell'educazione civica. Il magistrato antimafia Antonino Caponnetto diceva che la coscienza civile si forma all'asilo e non quando è troppo tardi. Nel nostro piccolo, come Associazione Avvocato di strada, cerchiamo di approfittare di ogni occasione per andare nelle scuole e raccontare ai ragazzi quello che facciamo, perché si può finire in strada e quanto è importante sapere aiutare gli altri!

Avvocato Mumolo, ci parla de “La Notte dei senza dimora” 2012, iniziativa che l’Associazione “Avvocato di strada” contribuisce a coordinare?
Ogni anno il 17 ottobre si celebra la Giornata mondiale della lotta alla miseria, e la data ha un significato particolare per tutte le organizzazioni che si occupano di persone senza fissa dimora e di esclusione sociale. In tutte le città del mondo si tengono iniziative e manifestazioni che rendono maggiormente visibili problemi che generalmente vengono nascosti dietro un velo di ipocrisia e di assistenzialismo. La consuetudine di festeggiare questa giornata nasce il 17 ottobre 1987, quando davanti a 100 mila persone, padre Joseph Wresinski inaugurò una lapide in commemorazione di tutte le vittime della miseria: a Parigi, sul «sagrato delle libertà e dei diritti dell’uomo», al Trocadero. La tradizione è stata poi successivamente riconosciuta ufficialmente anche dalle Nazioni Unite, nel 1992.
Anche nel nostro paese la ricorrenza si festeggia da molti anni, e ogni anno le associazioni si trovano nelle piazze delle principali città italiane per iniziative varie. In alcune città si organizzano convegni, cene o  spettacoli di piazza, e in molti casi i volontari si fermano a dormire in strada per tutta la notte, per denunciare e rendere più visibile la situazione delle migliaia di persone che ogni notte sono costrette a dormire all'aperto perché non hanno una casa o un posto in dormitorio.
Come tutti gli anni il prossimo 17 ottobre anche noi saremo presenti in diverse città per incontrare cittadini, distribuire materiali e portare la nostra solidarietà a chi vive in strada.


lunedì 17 settembre 2012

CLOCHARD ALLA RISCOSSA: “STIAMO CREANDO OCCUPAZIONE E REINSERIMENTO IN UN MOMENTO DIFFICILE PER IL PAESE. PERCHÉ SOLO NOI???”.


Intervista al Dottor Wainer Molteni,  fondatore dell'associazione "Clochard alla riscossa"
a cura di Luchino Galli, blogger e mediattivista.


Dottor Molteni, come è nata l’associazione “Clochard alla riscossa” e con che finalità?
Quali le sue peculiarità rispetto ad altre organizzazioni di contrasto alla povertà e all’emarginazione sociale che operano a Milano, come “Opera San Francesco per i Poveri” e “Pane Quotidiano”?
I clochard alla riscossa nascono nel 2004, come sindacato autonomo ed autorganizzato formato da senzatetto, per rivendicare i diritti fondamentali della costituzione per persone che dopo la scadenza dei documenti e la perdita della residenza vedono questi diritti calpestati.
Vivendo i problemi legati alla vita di strada, sappiamo quali interventi sono necessari per uscire dal circuito vizioso dell'assistenzialismo, che costa molto denaro e poco produce in termini di risultati.

Quanti sono i senzatetto a Milano, e in che percentuale sono italiani?
A Milano ci sono da 5000 a 6000 persone che dormono e vivono in strada; purtroppo una stima precisa è impossibile da fare, i clandestini e chi non si vuole far ritrovare difficilmente si fa censire, ma con la mappatura settimanale che facciamo, girando due sere la settimana e facendo le ronde, riusciamo ad avere una stima abbastanza precisa: la percentuale di stranieri si aggira intorno al 60-70%.

Come si diventa senzatetto?
Le cause possono essere molteplici, la perdita del lavoro, della casa, della moglie o del marito, per problemi legati alle dipendenze, per incompatibilità con la famiglia...

Cosa comporta, nella quotidianità, l’essere senzatetto?
La vita per strada è difficile, dura e disagevole....... togliamo lo stereotipo della libertà, non esiste...... hai orari fissi da rispettare per sopravvivere, la mensa, il guardaroba, il dormitorio, la scelta dei cartoni........ diventa un vero lavoro.

Le persone che sperimentano una così drammatica condizione esistenziale come possono essere aiutate a reinserirsi nella società?
Il lavoro è alla base di tutto, ridona dignità e ricondiziona la voglia di fare, ma serve anche un costante apporto psicologico, almeno per i primi periodi..... la strada fa tornare ad essere quasi trogloditi, e più anni si passano per strada e più tempo ci vuole per essere reinserito.

“Clochard alla riscossa” ha avviato un significativo progetto a Serravalle Pistoiese. Ce ne parla?
Il progetto prevede un piano di reinserimento in 12 mesi, sia abitativo che lavorativo, sviluppando insieme un cammino personalizzato e un accantonamento mensile....... ma alla base di tutto c'è il lavoro.
Anche il percorso lavorativo è personalizzato, in fattoria abbiamo molte mansioni da ricoprire e nessuno viene forzato, ognuno sceglie cosa fare e tutto viene fatto..... insomma, autorganizzazione.

Quali sono i progetti futuri dell’associazione Clochard alla riscossa, e di quali aiuti e supporti necessita per realizzarli?
I progetti sono parecchi, alcuni a breve partiranno come il recupero della cascina a Zeme Lomellina, in provincia di Pavia, dove impiegheremo circa 100 senzatetto...... ma preferisco parlare del resto con calma, i progetti sono in continua evoluzione, come tutte le esperienze sperimentali.

I senzatetto stanno aumentando giorno dopo giorno; disoccupazione, precarietà lavorativa, salari sempre più bassi, inadeguatezza degli ammortizzatori sociali: sempre più persone, intere famiglie, rischiano di precipitare nell’indigenza più assoluta e di finire per strada. Come prevenire e contrastare una simile deriva?
Avessi la cura mi candiderei........scherzo ovviamente.......le crisi sono cicliche e ci sono sempre state e sempre ci saranno, bisogna riuscire a trarne i pochi benefici che comprende una situazione per certi versi disastrosa........ noi stiamo creando occupazione e reinserimento in un momento difficile per il paese...... mi sorge una domanda........ perché solo noi?????



sabato 25 agosto 2012

“CREARE LAVORO. INSIEME SI PUÒ!”. Nuovi modelli di esistenza e resistenza!


Nel 2011, in base ai dati Istat, erano oltre 2 000 000 gli over 35 effettivamente disoccupati, tra disoccupati ufficialmente censiti e inattivi scoraggiati (coloro che hanno rinunciato a cercare un’occupazione nella convinzione di non riuscire più a trovarla).

Milioni di persone in larga maggioranza non supportate da ammortizzatori sociali ed escluse da percorsi di riqualificazione professionale e reinserimento lavorativo.

Abbandonati da Istituzioni colpevolmente indifferenti, respinti dal mercato del lavoro in nome di logiche imprenditoriali dipinte come ineluttabili, impossibilitati spesso ad accedere al credito bancario, quanti hanno provato  un senso di impotenza!

Immaginate invece che queste persone costituiscano sul territorio gruppi informali con l’intento dicreare insieme nuove e reciproche opportunità economiche e lavorative.

Ciascuno dei partecipanti comunicherà la propria intenzione di condividere, a condizioni da stabilirsi, specifiche risorse individuali; in questa prospettiva all’interno del gruppo saranno elaborati diversi progetti per utilizzare al meglio le risorse messe a disposizione, valorizzandole in modo sinergico e coordinato, così da amplificarne efficacia e resa. I membri del gruppo, interessati a partecipare ai progetti presentati, ne valuteranno realizzabilità e fattibilità economica, decidendone eventualmente l’attuazione.

Le modalità di partecipazione ai progetti saranno definite in base alle forme associative scelte per il  loro avvio e al tipo e alla natura degli apporti personali. 

Gli apporti individuali ai progetti potranno sostanziarsi in:
-   prestazioni lavorative;
-   saperi e conoscenze, anche da trasmettere ad altri;
-   beni mobili (come attrezzature, materiali, veicoli, denaro);
-   beni immobili.

Valorizzando, a diverso titolo, risorse individuali in un’ottica di condivisione reciproca, si creeranno per le persone coinvolte inedite opportunità di carattere economico, in particolare di lavoro!

In un secondo momento i gruppi locali costituiranno una rete sul territorio nazionale, e tramite sito web dedicato condivideranno esperienze, informazioni, risorse per creare ulteriori opportunità collettive, economiche e lavorative.

In autunno sarà costituito, per Lucca e provincia, il primo gruppo “CREARE LAVORO. INSIEME SI PUÒ!”.

per Mai Più Disoccupati: Luchino Galli, Maria Cabri – Lucca, 25 agosto 2012. 

sabato 30 giugno 2012

Crescono povertà estrema, emarginazione adulta, persone senza dimora - Intervista al Dottor Pezzana, Presidente di fio.PSD


Intervista al Dottor Paolo Pezzana, Presidente della Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora (fio.PSD), a cura di Luchino Galli, blogger e mediattivista.


Dottor Pezzana, quando nasce la fio.PSD? Di cosa si occupa e chi sono gli associati?

La fio.PSD, Federazione Italiana degli Organismi per le Persone Senza Dimora, persegue finalità di solidarietà sociale nell'ambito della grave emarginazione adulta e delle persone senza dimora. Nasce nel 1985 dall'aggregazione spontanea di alcune realtà operative nel mondo dei senza dimora e solo nel 1990 si costituisce formalmente in un'associazione che andrà poi negli anni a riunire sotto il suo nome più di 80 organismi, tra Pubblica Amministrazione ed enti privati, che si occupano di homelessness e grave emarginazione sociale.
Ad oggi la fio.PSD promuove il coordinamento di queste realtà creando una rete attiva di organizzazioni pubbliche e private dal Nord al Sud del territorio nazionale ma si rende inoltre anche il punto di contatto con le Federazioni Europee.
Tra i nostri obiettivi primari ci sono la sensibilizzazione sulle tematiche di homelessness e sui diritti delle persone vittime della grave emarginazione, con la volontà di sollecitare l'attenzione al problema davanti agli interlocutori sociali ed istituzionale, in una prospettiva di advocacy.
Fondamentali sono i momenti di formazione e di ricerca nei quali cerchiamo di coinvolgere i nostri associati e tutti coloro che sono interessati alla comprensione del fenomeno tramite incontri, convegni e seminari.

I bassi redditi, connessi al lavoro sempre meno retribuito e a pensioni inadeguate, la precarietà lavorativa, la disoccupazione hanno effetti dirompenti sul tessuto sociale italiano. La povertà estrema, nel nostro Paese, si sta diffondendo e non è più così difficile precipitare nell’indigenza assoluta e trovarsi per strada. Qual è l’esperienza della fio.PSD in merito?

Fio.psd lavora a stretto contatto con i propri associati e con il mondo della grave emarginazione. Non ci mancano quindi le fonti che confermano questa tendenza. Anche secondo i dati che emergono dalla Ricerca Nazionale sulle Persone Senza Dimora ed i servizi loro dedicati che abbiamo condotto insieme a ISTAT, Caritas Italiana ed il Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali e che a breve saranno presentati al pubblico, ci sono sempre più insospettabili tra le fila degli homeless e delle persone in situazioni di grave indigenza. La crisi dell’ultimo periodo sta facendo affiorare molte di queste realtà e sta avvicinando giornali e altri media all' argomento, purtroppo sempre più attuale. È di pochi giorni fa la notizia di un professore di un istituto superiore che, dovendo pagare il mantenimento ai figli a seguito di una separazione, di giorno va a lavorare  come sempre ma la notte, segretamente, va a dormire  in un centro Caritas perché non riesce a permettersi un affitto. E storie come questo sono all'ordine del giorno.

Dottor Pezzana chi sono le persone senza dimora? E’ arbitraria o ha un fondamento giuridico la distinzione tra persone “senza fissa dimora” e persone “senza tetto”?

La ricerca Senza Dimora si è basata sui criteri di Ethos, http://www.fiopsd.org/files/ethos%20italia.pdf e su diverse modalità di distinzione, tese a mettere l’accento non tanto sul mero elemento abitativo, ma sulla condizione di disagio ed isolamento sociale, relazionale, dinamico e multiforme che le persone in questa condizione, per le cause più diverse e data la loro multidimensionale povertà, debbono sopportare. L'indicazione “senza fissa dimora” sta gradualmente sparendo, sostituita dalla generale condizione dell'essere senza dimora, che va ad indicare tutti coloro i quali, nonostante abbiano un tetto sopra la testa, vivano situazioni di grave emarginazione sociale. La distinzione tra le due situazioni, sebbene non abbia fondamento giuridico, può essere ancora utile quando si parla della residenza anagrafica - da uno stralcio del testo “Parere di fio.PSD sulla circolare 108947/2011 della Direzione dei Servizi Civici e dell’Anagrafe del Comune di Genova” si può infatti leggere In questo testo si farà ricorso al termine “persona senza fissa dimora” ogni qual volta il riferimento sia alla qualificazione anagrafica della fattispecie, e “persona senza dimora” ove il riferimento sia invece alla presa in carico sociale della stessa. Ciò in quanto la dizione “senza fissa dimora”, pur corretta se usata in ambito anagrafico, non coglie in pieno, nel lessico impiegato da fio.PSD e dai suoi soci, la dimensione di esclusione sociale vissuta dalle persone senza dimora, non di per sé assimilabili alle categorie dei “girovaghi e circensi” per i quali la legge anagrafica del 1954 aveva coniato la dizione “senza fissa dimora”.

Con Ethos abbiano una distinzione più specifica delle condizioni di emarginazione sociale basata sui seguenti criteri:
  • Senza tetto: coloro che vivono senza riparo di alcun tipo, che dormono in strada.
  • Senza casa: coloro che dispongono di un posto per dormire a tempo determinato, in istituzioni specifiche o dormitori.
  • Sistemazioni insicure: coloro che vivono in locazioni insicure, sotto la minaccia di uno sfratto o subiscono violenze domestiche.
  • Sistemazioni inadeguate: coloro che vivono in abitazioni quali baracche, caravan, campeggi abusivi, case inadatte o sovraffollate.
In ogni caso occorre ricordare che la persona senza dimora è anzitutto una persona e che ciascuno di noi lo è in potenza, se non in atto. Se si dimentica questo, se si scorda cioè che non esiste per nessuno, in questa società, una “assicurazione contro la povertà” o un “farmaco” per guarirla, si continuerà a perpetrare la falsa illusione che dietro la grave emarginazione risiedano una colpa soggettiva o una condizione particolare di “malattia”; si tratta di stereotipi ancora molto diffusi, nati per costruire una sorta di “barriera psicologica” tra noi “normali” e gli altri “diversi” e tranquillizzare le nostre coscienze e routines dinanzi alla scandalosa provocazione che la povertà lancia alla fragilità della nostra comune condizione umana. Non cadere in queste semplificatorie definizioni o rappresentazioni è forse uno dei pochi modi che tutti abbiamo a disposizione per prevenire la nostra stessa caduta in povertà o reagire più efficacemente ad essa quando dovesse accaderci.

L’ordinamento giuridico italiano come garantisce e tutela il diritto soggettivo all’iscrizione anagrafica delle persone senza dimora, e cosa ha comportato l’istituzione, presso il Ministero dell’Interno, del registro nazionale delle persone senza fissa dimora?

Il diritto alla residenza anagrafica nel nostro ordinamento costituzionale, ove si sia nelle condizioni previste dalla legge (essere un cittadino italiano, comunitario o extracomunitario, regolarmente presente sul territorio nazionale, privo di iscrizione anagrafica in altro Comune della Repubblica e avente nel dato territorio nella quale la si richiede la sede principale dei propri affari, quali essi siano) è un diritto soggettivo perfetto, implicito in tutti gli altri diritti sociali poiché si pone come condizione burocratico-amministrativa essenziale per potervi concretamente accedere. Purtroppo questo diritto fondamentale, nel nostro Paese è come molti altri, un “diritto di carta”, nel senso che è ancora inaccessibile per molte, troppe persone sul territorio nazionale, visto che tanti Comuni, illegittimamente, continuano a rifiutare iscrizioni anagrafiche che invece dovrebbero effettuare, spesso sul falso presupposto che concedere una iscrizione anagrafica ad una persona povera significhi dover spendere di più in servizi sociali comunali. Fio.PSD ha dedicato a questo tema un’importante campagna un paio di anni addietro, proprio per contrastare le norme che il cosiddetto “Pacchetto Sicurezza” dell’allora Ministro Maroni voleva introdurre in materia anagrafica; è ancora attivo il sito www.ilresidentedellarepubblica.it, entrando nel quale si può scaricare un documento chiamato “Diario di un Diritto Negato”, che è forse una delle più complete rassegne divulgative esistenti in questo momento in Italia su questo tema. Rimando a questo per approfondire l’argomento, così come al sito dell’Associazione Avvocato di Strada, che da anni porta avanti, quasi sempre con successo, battaglie legali contro i Comuni per ottenere questo diritto per le persone senza dimora.

Aggiungo solo che, anche grazie all’azione di fio.PSD con la campagna che sopra ho citato, il provvedimento, con il quale l’ex Ministro Maroni ha istituito il Registro Nazionale delle Persone senza fissa dimora, ha ottenuto un effetto paradossalmente benefico. L’attuale normativa infatti costituisce questo registro come registro elettronico di secondo livello, composto dal coordinamento dei registri anagrafici di tutti i Comuni Italiani per quanto attiene le registrazioni effettuate a persone senza dimora. Quello che poteva essere uno strumento discriminatorio e ghettizzante si è così di fatto trasformato in una sorta di “obbligo” burocratico per i Comuni a istituire e aggiornare questa sezione del loro registro anagrafico ed in uno strumento di controllo diretto ed indiretto per monitorare che le anagrafi locali adempiano correttamente a questo loro compito fondamentale. Ciò che era e resta importante è che a questo registro possano accedere solo gli ufficiali anagrafici e che sia uno strumento di pura gestione anagrafica e non di controllo o, peggio, di repressione. Per ora questo rischio, che certamente era tra i propositi di qualcuno di coloro che allora lo proposero, è stato scongiurato.

In base al censimento generale del 2001, erano 23.336 le famiglie che vivevano in auto, camper, roulotte, container, baracche, tende o altri alloggi e ricoveri di fortuna. Risultano ben 71.101 nel censimento del 2011. Quante, invece, le persone senza dimora? Sono state ufficialmente censite?

La Ricerca condotta da fio.PSD, che ha visto nella sua ultima fase lo svolgimento di 5.000 interviste a PSD (persone senza dimora), porterà a conoscere il numero dei senza dimora in Italia ed il loro profilo. La tipologia della PSD oggetto della Ricerca, così come concordato con il Ministero, Caritas Italiana ed Istat, si rifà alla tipologia ETHOS. Le 71.101 famiglie individuate dal Censimento 2011 è molto probabile che siano parte del totale finale che sarà reso noto da Istat entro la metà di luglio 2012. Le persone che vivono in tali condizioni erano infatti considerate, ai fini della ricerca, senza dimora, sebbene non possiamo escludere che, vista la difficoltà che spesso si ha nel trovarle sul territorio, alcune di loro siano “sfuggite” tanto alla nostra ricerca quanto al Censimento. Credo avremo numeri impressionanti, ma, nella nostra esperienza, continuiamo ad impressionarci per ogni singola storia e ogni singolo volto che si cela dietro ad una persona senza dimora. I numeri sono fondamentali per capire i fenomeni e decidere come allocare al meglio le risorse per agire nel gestirli e contrastarli. Se manca la volontà di farlo o il cuore per formare tale volontà, anche con i numeri a disposizione tutto diventa molto più difficile.

Dottor Pezzana quali risultati emergono dalla Ricerca nazionale sulla condizione delle persone senza fissa dimora in Italia “Diamo un volto agli invisibili”?

Dalla ricerca emerge come il fenomeno della grave marginalità adulta sia in preoccupante e costante aumento. E’ oramai evidente a tutti (coloro che vogliono vederlo) come l’essere senza dimora non sia una “scelta di vita” ma il risultato di un processo, a volte anche breve, che porta ad una degenerazione personale. I principali fattori all’origine di questo processo sono la perdita del lavoro, la crisi coniugale, la salute. Molti sono gli stranieri. Le PSD non si spostano più da un posto all’altro ma tendono ad essere abituali frequentatori dei medesimi servizi. Per quanto concerne i Servizi erogati dalle Organizzazioni o Enti invece si evidenzia come la percentuale di servizi dedicati al recupero personale e alla costruzione di un percorso di uscita dalla condizione di senza dimora sia molto bassa, creando di fatto una condizione di auto-alimentazione del fenomeno. Emerge inoltre che i servizi che a questo fenomeno si dedicano riescono a coprire poco più della metà di quello che si può stimare essere il fabbisogno reale di servizi delle persone senza dimora presenti in Italia, e che solo il 50% dei servizi esistenti (la metà della metà di quelli che servirebbero) ricevono in qualche modo finanziamenti pubblici, spesso esigui. Emerge insomma, che la soddisfazione dei bisogni primari, ossia una sopravvivenza dignitosa, che è la prima esigenza che un Paese dovrebbe tutelare per chi in esso si trova, per i senza dimora in Italia è anch’esso un diritto negato.

L’Italia non solo è uno dei tre Paesi dell’Unione europea, insieme a Grecia e Ungheria, a non avere istituito il reddito minimo garantito, ma è anche uno degli Stati membri dell’Unione che destina meno risorse al sostegno del reddito, alle misure di contrasto alla povertà, o alle prestazioni in natura a favore di persone a
rischio di esclusione sociale.
Nel rapporto 2011 redatto dallo European Committee of Social Rights, l’Italia è stata condannata dal Consiglio d’Europa per la violazione dell'articolo 31, comma 2 della Carta sociale europea, non avendo attuato politiche di housing sociale “destinate a prevenire e ridurre lo status di senza tetto in vista di eliminarlo gradualmente”.
Dottor Pezzana, perché le forze politiche di governo e le stesse Istituzioni sono così insensibili e sorde?

La risposta dovrebbe probabilmente essere lunga e complessa, poiché non basta pensare che la classe dirigente delle Istituzioni Italiane sia insensibile o incapace o che semplicemente mancano le risorse. A volte, molto banalmente, sono tentato di pensare che una risposta forse non ci sia, e che questa perversa disattenzione per chi nel nostro Paese sta peggio possa essere una tragica fatalità, ma questo sarebbe un errore fatale. Le cause ci sono e vanno ricercate, scoperte e denunciate. Sono cause storiche, culturali, politiche, economiche tutte intrecciate tra di loro e certamente difficili da risolvere e governare per chiunque, nel contesto istituzionale, le affronti da solo e con la sola buona volontà. Noi siamo convinti che la grave emarginazione sia solo la punta dell’iceberg dell’emarginazione sociale; sotto di essa sta una piramide enorme e con essa solidale di situazioni e fattori che, come ho già detto, ci pongono tutti a rischio; chi naviga le acque nordiche sa bene quanto sia pericoloso e devastante il rovesciamento di un iceberg, e questa crisi in termini metaforici sembra proprio rappresentarci ciò che può accadere socialmente quando un sistema iniquo e ingiusto come l’attuale contesto socio-economico si rovescia, facendo venire a galla ciò che prima era sommerso e seminando il caos, un caos nel quale molti purtroppo periscono tra flutti. “Conoscere per deliberare” era un motto di Luigi Einaudi che considero particolarmente saggio ed importante. La nostra speranza è che, sulla base dei dati che a breve saranno disponibili e delle tante esperienze che chi lavora con l’emarginazione ha in questo tempo accumulato, nei prossimi anni tutte le istituzioni competenti, da quelle locali a quelle europee, da quelle sociali a quelle economiche, possano finalmente formare un’alleanza per realizzare un nuovo modello di sviluppo comunitario che porti in sé, a differenza dell’attuale, l’obiettivo strutturale di non produrre povertà ed emarginazione e di conseguire inclusione sociale per tutti, nel rispetto delle differenze di ciascuno.

A Suo avviso quali politiche di welfare sono necessarie per contrastare efficacemente la crescente povertà ed emarginazione adulta e il connesso, drammatico fenomeno sociale delle persone senza dimora?

Come ho detto, serve un cambio di paradigma nel modello di sviluppo complessivo, che riporti il valore della persona al centro e sia capace di portare a valore tutte le persone. Non è un risultato che si consegue da un giorno all’altro e serve il concorso di moltissimi fattori. Nell’ambito dell’emarginazione tuttavia un buon primo passo nel nostro Paese potrebbe essere quello di implementare un sistema dignitoso di reddito minimo di cittadinanza, non inferiore ai 500 euro mensili, insieme alla esigibilità del diritto all’alloggio (esistono Paesi in Europa, come la Finlandia o la Francia, dove per legge si riconosce il diritto di tutti a non dover essere costretti a trascorrere più di una notte all’addiaccio) ed all’accessibilità del diritto all’accompagnamento sociale da parte di servizi professionali di adeguata capacità. Tutto questo ha un costo e richiede impegno e volontà politica, più o meno quante ne servono per acquistare e mantenere in servizio una cinquantina di caccia militari d’attacco F35. Purtroppo dobbiamo constatare che al momento la volontà politica di fare quanto serve per il primo obiettivo manca, mentre di caccia F35 ne possederemo quasi cento. Si tratta di scelte, e dietro ogni scelta c’è una responsabilità che è stata esercitata e che, in una libera democrazia autentica, dovrebbe rispondere agli elettori delle proprie azioni. Perché nessuno risponde per lo scandalo della povertà? Credo che la risposta tocchi a ciascuno di noi.

29 giugno 2012

giovedì 28 giugno 2012

"Per anni, il mio lavoro è stato propormi a chiunque, inviare curriculum, e aspettare… aspettare… "


di Maria Cabri, per Mai Più Disoccupati

Davide, 34 anni, non trova più lavoro. Ha girato per agenzie interinali (è iscritto in oltre 40 agenzie, ma nessuna lo ha mai chiamato!), risponde alle inserzioni del Centro per l’Impiego dove è iscritto, e a quelle che compaiono settimanalmente su tutti i quotidiani.
“Alla mia età, senza capitali da investire in un’attività mia, e senza conoscenze e agganci che mi consentano di lavorare come dipendente, è già finita! Ne ho tanti di amici che non lavorano, pur continuando a cercare e ad inviare curriculum, come faccio io. Il risultato è lo stesso, anche per loro. Viviamo tutti a casa dei genitori, come fosse facile, alla nostra età! Ma soprattutto senza avere la percezione di un possibile domani!”

Le agenzie interinali hanno tutto l’interesse a farti iscrivere, a prescindere dal fatto che abbiano o meno un lavoro da offrirti: quello che serve loro sono banche dati corpose per vendersi meglio alle aziende. Così si spiegano i tanti annunci civetta con cui attirano i candidati… Ma senza specifiche, particolari qualifiche, la possibilità di ricevere una telefonata è praticamente nulla!

Anche le aziende fanno la loro parte. Molte utilizzano gli annunci di lavoro come forma di pubblicità a costo zero. Basta girare per il corso di una qualunque delle nostre città per notare cartelli di ricerca del personale che rimangono esposti per mesi e mesi (provate a inviare il vostro curriculum… non risponderà nessuno). Questo perché un’azienda che offre lavoro dà di sé un'immagine sana, positiva.

Così, sempre più persone, giovani e adulti, rinunciano a inviare la propria candidatura. Non hanno più fiducia nel sistema di reclutamento della forza lavoro. “Serve una spinta”, “Serve l’aggancio”, “Servono soldi per farsi raccomandare”…
E non rinunciano certo per scarsa determinazione... Dopo che la ricerca affannosa di anni si traduce in soli 3 mesi di impiego, o in 6 mesi di stage come cassiera, l’autostima crolla (non solo nei giovani, ma anche in chi, in passato, si è messo alla prova in diverse occasioni) e la speranza è persa!

Di tanta ricerca cosa rimane?

Davide mi guarda per un istante coi suoi occhi verdi e vibranti, che abbassa per rispondermi senza farsi travolgere dall’emozione: “Ormai sono così depresso, che invio curriculum solo per i miei genitori… tanto a cosa serve? Come si può lavorare così poco e poi inviare candidature che parlano di “esperienza” lavorativa? Quale esperienza, ormai? Per anni, il mio lavoro è stato propormi a chiunque, inviare curriculum, e aspettare… aspettare… Non ce la faccio più!”



mercoledì 27 giugno 2012

La POLEMICA sul CALCOLO dei DISOCCUPATI !!!


Un articolo del gennaio 2010, ma di assoluta attualità !!!  

La Banca d’Italia ha diffuso delle stime “preoccupate” sulla disoccupazione, che però non sono “piaciute” al Ministro Sacconi, che le giudica troppo pessimistiche e metodologicamente errate, tanto che il Ministero del Welfare ha dichiarato in una nota:
Sommare, come fanno solo la Cgil e il Servizio studi della Banca d’italia, i disoccupati veri e propri con i cassintegrati (che sono e restano legati alle rispettive aziende da un rapporto di lavoro solo temporaneamente sospeso) e addirittura con i cosiddetti ‘scoraggiati’ è un’operazione scientificamente scorretta e senza confronto con gli altri paesi dove ci si attiene all’autorità statistica
Sul fatto che la disoccupazione sia uno dei problemi principali, che è destinato a rallentare la ripresa, non è certo nulla di nuovo, e anche in questo blog ne abbiamo parlato più volte. 

Veniamo dunque all’altro aspetto: il metodo usato da CGIL e Servizio studi della Banca d’italia è errato? La risposta è che semplicemente, viene usata una misura diversa della disoccupazione da quella usata nel tasso di riferimento ufficiale di disoccupazione: ma la disoccupazione può essere definita — e quindi misurata — in modi diversi, come avevamo visto nel caso degli USA.

Le “autorità statistiche” spesso effettuano diverse misure del livello di disoccupazione, proprio tenendo conto delle diverse definizioni. Il tasso che viene di solito usato come riferimento è quello che negli USA viene definito “U-3“, ma ci sono misure — ufficiali – più restrittive (come la U-1, che considera solo le persone senza lavoro da almeno 15 settimane), o più ampie, (come la U-6, che considera il totale dei disoccupati, dei lavoratori scoraggiati, degli altri lavoratori “marginalmente impegnati” e dei lavoratori part-time per necessità, cioè coloro che erano alla ricerca di un lavoro full-time, ma non sono riusciti a trovarlo oppure gli è stato imposto un orario più breve).

Può essere legittimo che il Governo decida che è preferibile contenere U-3, anziché U-6, anche se anche noi riteniamo che per una ripresa “solida” della domanda interna (e quindi dell’economia) sia opportuno non trascurare quest’ultima misura. Lascia qualche perplessità però il fatto che queste misure (utilizzate, ripetiamo, anche dal Bureau of Labor Statistics degli USA) vengano bollate come “scientificamente scorrette“.

Anche se va detto che la perplessità arriva fino ad un certo punto: è infatti viva la sensazione che, dato che l’Italia non dispone di molte risorse economiche da dedicare a combattere la crisi, l’attenzione si concentri sull’aspetto psicologico per infondere ottimismo e ridurre il pessimismo.
Un aspetto importante, ma che non può essere l’unico portato avanti…

http://www.banknoise.com/2010/01/la-banca-ditalia-esagera-sulla-stima-della-disoccupazione-no.html

Le ultime dal Paradiso ISTAT - I miracoli di San Censimento!

7 ottobre 2011

Finalmente è arrivata la documentazione ISTAT per il Censimento 2011.
Curioso, apro il plico e ne visiono il contenuto: questionario delle domande, guida alla compilazione, lettera informativa… bene, c’è tutto. Leggiamo un po’…
“Gentile Signora, Gentile Signore […] Il Censimento, effettuato ogni dieci anni su tutto il territorio nazionale, rappresenta un’importante rilevazione che permetterà di conoscere la struttura demografica e sociale dell’Italia e dei suoi territori […]. Saremo proprio noi cittadini, infatti, ad essere i veri protagonisti dell’indagine”.

Scorro velocemente il questionario del foglio di famiglia: “Sezione I – Notizie su famiglia e alloggio”, “Sezione II – Foglio individuale. Persona 01 della lista A”, dove al punto 6, intitolato “Condizione professionale o non professionale”, leggo il primo quesito:
“Nella settimana precedente la data del Censimento (dal 2 all’8 ottobre) ha svolto almeno un’ora (sigh!) di lavoro?”.
Consulto la Guida alla compilazione: “Devono barrare la casella 1 (“Sì”) coloro che: nella settimana dal 2 all’8 ottobre hanno svolto una o più ore di lavoro retribuito alle dipendenze o in modo autonomo, svolgendo un’attività di tipo abituale, occasionale o stagionale indipendentemente dalla continuità e dall’esistenza di un regolare contratto di lavoro […]”.

Sono perplesso… poi capisco: perbacco! San Censimento ha compiuto un vero “miracolo”!! È riuscito ad affratellare il lavoro bianco, grigio e nero del disastrato, frammentato mondo del lavoro italiano, amalgamandoli in un’ovattata e “salvifica” dimensione lessicale da servire in salsa statistica caramellata!!!

Ma sì! Abbassiamo le luci, ammorbidiamo i toni, stemperiamo i contrasti e soprattutto stendiamo un velo pietoso su un sistema economico fondato non più sul lavoro, sui diritti, sulle tutele, ma sulla loro progressiva scomparsa!

D’altronde, è una tendenza in voga: Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre, commentando i numeri relativi al fenomeno del lavoro sommerso italiano, puntualizza: “Con la presenza del sommerso la profonda crisi che sta colpendo il Paese ha effetti economici e sociali meno devastanti di quanto non dicano le statistiche ufficiali. In particolar modo al sud, possiamo dire che il sommerso costituisce un vero e proprio ammortizzatore sociale […] un paracadute per molti disoccupati o pensionati che non riescono ad arrivare alla fine del mese”.
...
Il nostro San Censimento, beato e serafico, continua a dispensar miracoli! Nella Guida si specifica altresì che al quesito: “Nella settimana precedente la data del Censimento (dal 2 all’8 ottobre) ha svolto almeno un’ora di lavoro?”“devono barrare la casella 1 anche i tirocinanti e stagisti che percepiscono una retribuzione o un compenso non monetario purché continuativo (buoni pasto, ricarica cellulare, buoni benzina, ecc.)”.

Lo sa bene, il nostro Santo, che tirocini e stage (strumenti di formazione, perché non si tratta di contratti di lavoro!) vengono utilizzati dalle imprese per procurarsi "dipendenti" a basso costo (o gratis)... all’insegna del tormentone: “non assumiamo più da tempo, ma se crede può fare uno stage qui da noi”.

Sarà per questo motivo che San Censimento non distingue tra lavoratori e tirocinanti? tra lavoratori e stagisti?

In base ai dati Unioncamere, nel 2010 sono stati 310'820 gli stage attivati in Italia dalle aziende private, ma solo il 12,2% delle persone coinvolte ha trovato lavoro attraverso questo strumento!
...
Alla luce di queste considerazioni, mi chiedo come il Censimento potrà aiutarci a “comprendere meglio la realtà in cui viviamo”, affinché  le Istituzioni, le imprese e i singoli cittadini possano “assumere scelte più consapevoli” !
E quale ritratto risulterà della condizione professionale e non professionale in Italia?

Sono comunque fiducioso… mi aspetto altri "miracoli" dal Paradiso ISTAT!!


Mai Più Disoccupati



DISOCCUPAZIONE ADULTA... LO SAI CHE ?

9 ottobre 2011


LO SAI CHE?

Dei 2'100'000 disoccupati ufficialmente censiti nel 2010 dall'Istat, circa il 45% aveva più di 35 anni.

Del 1'000'000 di disoccupati di lunga durata che cercano lavoro da oltre un anno, quasi il 43% ha un'età compresa tra i 35 e i 54 anni.

"La crescita più consistente di disoccupazione nel 2010 ha riguardato la fascia tra i 30 e i 49 anni, solo in seconda battuta quella dei più giovani". Lo dice il Rapporto annuale Istat, presentato il 23 maggio c.a. a Montecitorio.

Secondo l'ultimo rapporto IREF-ACLI sul "lavoro scomposto", il lavoro atipico, il lavoro temporaneo colpiscono FORTEMENTE anche i lavoratori ADULTI !!
Il 48% dei  contratti precari, difatti, sono stipulati tra datori di lavoro e lavoratori di età compresa tra i 30 e i 49 ANNI !

In base a un'indagine dell'Associazione Direttori Risorse Umane (G.I.D.P./H.R.D.A.), le nuove risorse umane da assumere per le aziende saranno soprattutto giovani: il 75%, infatti, dovrà avere un'età compresa tra i 25 e i 34 anni; il 14% tra i 35 e i 44 anni e solo l'1% più di 45 anni.

Una rilevazione del 2009 ad opera della SDA Bocconi e di Astra Demoskopea su 5'000 annunci di lavoro pubblicati dai giornali evidenziava che quasi il 60% delle inserzioni poneva un vincolo di età che nella maggioranza dei casi si attestava attorno ai 35 anni.

Le risorse messe a disposizione dal nostro Paese per i disoccupati nel 2008 hanno toccato lo 0,5% del PIL. In pratica, per ogni disoccupato italiano sono stati spesi in media 4'691 euro, contro i 17'921 per il disoccupato irlandese, i 16'652 per quello austriaco, i 15'570 per quello tedesco e gli 11'483 per quello francese... (dati Cgia Mestre)

"Una chicca": a Treviso, nel cuore dell'opulento Veneto, un cinquantenne che avesse perso il lavoro aveva nel 2007 il 32% di possibilità di ritrovarlo; nel 2010 solo l'8% !!


L’Italia, agli ultimissimi posti nell'Unione Europea per tasso di occupazione, è ancora senza un reddito minimo di cittadinanza!


di Luchino Galli, per Mai Più Disoccupati
19 ottobre 2011

Il tasso di occupazione in Italia per le persone in età lavorativa fra i 15 e i 64 anni - primario indicatore economico di riferimento - è stato nel 2010 del 56,90%, in base ai dati EUROSTAT.

Questo dato colloca il nostro Paese al terzultimo posto, 25° tra i 27 Stati membri dell'Unione Europea. Peggio di noi solo Malta (56%) e Ungheria (55,40%)!!

Da evidenziare come Italia e Ungheria, insieme alla Grecia - che si posiziona invece al 20° posto con un 59,60% - siano le uniche nazioni facenti parte dell'Unione Europea a non aver ancora istituito un reddito minimo di cittadinanza, nonostante nell’ottobre 2010 il Parlamento Europeo abbia approvato una risoluzione che ne chiede l’istituzione in tutti i paesi dell’Unione, per un importo pari almeno al 60% dello stipendio medio di ogni paese.

Reddito minimo di cittadinanza del quale avrebbero potuto beneficiare gli oltre 2'100'000 disoccupati censiti dall’Istat nel 2010 (media su base annua) che rimangono invece tra i meno aiutati d’Europa e dei quali non più del 30% ha potuto usufruire di sussidi di varia natura comunque destinati ad esaurirsi in un breve lasso di tempo, quando le difficoltà economiche connesse a una prolungata disoccupazione si acuiscono.
Drammaticamente e paradossalmente sono esclusi da specifici sussidi proprio i disoccupati che hanno lavorato di meno... (si vedano a riguardo i requisiti necessari per accedere all’indennità di disoccupazione ordinaria e a quella con requisiti ridotti).

Reddito minimo di cittadinanza del quale avrebbero potuto beneficiareinoltre circa 2'890'000 inattivi (dato 2010) qualificati come "forze lavoro potenziali" tra i quali circa 1'500'000, in base al Report novembre 2011 dell’Istituto di Ricerche Economiche e Sociali, sono gli scoraggiati che hanno rinunciato a cercare lavoro, date le tante ricerche infruttuose già effettuate.  Persone, donne ed uomini, nella  maggioranza dei casi over 35, arrese all'evidenza di un mercato del lavoro che nega loro qualsiasi possibilità di ricollocazione professionale.

Reddito minimo di cittadinanza del quale potrebbero beneficiare anche gli adulti (over 60, 55, 50, 45, 40, 35… ormai una deriva inarrestabile!) che costituiscono quasi il 45% dei disoccupati censiti ufficialmente dall’Istat e la stragrande maggioranza degli inattivi! Adulti che sono i primi ad essere licenziati e gli ultimi ad essere riassunti, discriminati per motivi anagrafici, pervicacemente esclusi tout court dal mercato del lavoro e destinati - se non supportati da una robusta rete di solidarietà familiare o amicale - a finire letteralmente per strada, precipitando in una dimensione di emarginazione, esclusione sociale e povertà assoluta dalle quali è difficilissimo risollevarsi!
Nel nostro Paese le persone che vivono per strada sono in continuo aumento. I senzatetto sono in maggioranza uomini, soprattutto 40enni, che hanno perso il LAVORO...

Reddito minimo di cittadinanza del quale potrebbe beneficiare, a integrazione, anche quella parte di lavoratori precari che non raggiunge una determinata soglia di reddito.
In Italia, tra l'inizio del 2008 e il giugno 2010 sono stati attivati 27,4 milioni di contratti di lavoro, di cui ben il 73,4% precari!
Si tratta di una variegata moltitudine di lavoratori, quali: lavoratori subordinati a termine, in somministrazione, intermittenti, accessori, lavoratori parasubordinati, quali collaboratori a progetto e associati in partecipazione, titolari di partita iva monocommittente (precari con partita iva).
Lavoratori precari che la crisi economica trasforma spesso in disoccupati: nel 2009, ben il 63% di chi ha perso il lavoro era infatti precario…

Dalla DISOCCUPAZIONE ADULTA al REDDITO MINIMO DI CITTADINANZA

di Luchino Galli, per Mai Più Disoccupati
6 novembre 2011

In base ai dati Istat sulle forze lavoro del primo trimestre 2011, da gennaio a marzo di quest’anno sono cessati oltre 262mila rapporti di lavoro, di cui il 47% riguardava lavoratori di età inferiore ai 35 anni, e il 53% lavoratori over 35 (rielaborazione Datagiovani).

Si accentua la tendenza già evidenziata nel Rapporto annuale Istat, che rimarcava quanto la crescita più consistente di disoccupazione avesse riguardato la fascia tra i 30 e i 49 anni, e solo in seconda battuta quella dei più giovani (*).

La disoccupazione over 35 è misconosciuta dalla politica, trascurata dai sindacati e sottaciuta dai mass media nonostante abbia assunto, in Italia, rilievo di drammatico e dilagante fenomeno sociale che ha sconvolto - solo nel 2010 - la vita di oltre 2'100'000 (**) persone e dei loro nuclei familiari. Infatti, laddove il dramma della disoccupazione colpisce gli adulti, le famiglie coinvolte spesso non sono più in grado di “fare fronte” neanche alle scadenze economiche più impellenti: rate del mutuo, canone di locazione, bollette (acqua, luce e gas in primis), spese per la salute, per l’istruzione dei figli e le stesse spese alimentari!

Quanti possibili disoccupati over 35 tra gli oltre 2milioni di lavoratori coinvolti nel 2010 da processi di cassa integrazione?
Quanti potenziali disoccupati over 35 tra i 576'455 lavoratori in cassa integrazione a zero ore per tutto il 2010?  
Cassa integrazione che è un ammortizzatore sociale comunque temporaneo e destinato ad esaurirsi...

Quanti futuri disoccupati over 35 tra i milioni di lavoratori precari, tanto esposti alla disoccupazione (***) ?

Milioni di vite sospese, interrotte, umiliate da una precarietà totalizzante che giorno dopo giorno annichilisce e avvelena l’esistenza, solo per i più fortunati alleviata da una rete di protezione informale - pilastro del welfare “all’italiana” - intessuta di rapporti parentali e amicali. Lo Stato italiano infatti non c’è!! I disoccupati italiani sono tra i meno aiutati dell’Unione Europea; solo il 31% è supportato da ammortizzatori sociali e mancano politiche organiche mirate al loro ricollocamento lavorativo.

Milioni di persone, già vittime - anche nel nostro Paese - di una crisi economica globale, ulteriormente colpite dall’incoerenza tutta italiana di un mondo imprenditoriale che da un lato reclama a gran voce l’innalzamento dell’età pensionabile - magari anche a 70 anni - in nome di una maggiore competitività dell’industria nazionale, e dall’altro non assume, proprio in quanto “anziani”, gli over 35 in cerca di occupazione…

La disoccupazione adulta è troppo spesso anticamera di un’indigenza assoluta e di emarginazione sociale.

Mario Furlan, fondatore dei City Angels che in tutta Italia aiutano i senzatetto, dichiara: “In 17 anni di attività umanitaria non abbiamo mai visto una situazione tanto difficile, in cui tante persone si sono rivolte a noi, persone che si presentano bene e che non diresti affatto si trovino in situazioni drammatiche,  che ci chiedono cibo, vestiti e addirittura coperte e sacchi a pelo […]. Per queste persone una spesa anche di pochi euro può essere proibitiva. Sono moltissime le persone laureate, qualificate, che passano da uno stato di relativo benessere a una situazione drammatica, di vera e propria indigenza”.           

Nel nostro Paese, i senzatetto sono almeno 60'000 e sono in continuo aumento; tra questi cresce costantemente la percentuale di nazionalità italiana, prevalentemente uomini che hanno superato i 40 anni e che hanno perso il LAVORO!
Nel corso del 2010, in base al Report Istat - Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora – Caritas Italianaci sono state oltre 2’600’000 richieste di aiuto da parte di persone in condizioni di grave emarginazione sociale; nella metà dei casi, la richiesta concerneva bisogni primari quali cibo, indumenti, farmaci, igiene personale.

L’Italia, in quanto “Repubblica democratica, fondata sul lavoro” (art. 1 della Costituzione), che” riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”(art. 4 della Costituzione)  viene meno ai propri principi fondativi quando abbandona i disoccupati al solo sostegno della famiglia, degli istituti caritatevoli e delle associazioni e organizzazioni di volontariato, rinunciando al proprio compito istituzionale  di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese” (art. 3 della Costituzione). 

Alla Repubblica competono  politiche sociali che prevengano e risolvano queste drammatiche situazioni di bisogno, a partire dall’introduzione del reddito minimo di cittadinanza, come richiesto dal Parlamento Europeo a tutti gli Stati membri dell’Unione e che ben 24 Paesi su 27 hanno da tempo già provveduto ad istituire (con eccezione di Italia, Grecia e Ungheria). 

Reddito minimo di cittadinanza che ha il suo fondamento giuridico nella stessa Costituzione Italiana, all’art. 38, co. 2: “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, DISOCCUPAZIONE INVOLONTARIA”.

Le risorse non mancano di certo, e vanno recuperate contrastando efficacemente la corruzione capillarmente diffusa nel nostro Paese, l’evasione fiscale, il lavoro nero, gli assurdi sprechi e i privilegi corporativi che tutti insieme rappresentano la vera emorragia delle ricchezze nazionali. 

Quella che manca, invece, è la volontà politica di intraprendere un simile percorso!
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(*) Nel momento in cui scrivo di disoccupazione adulta non intendo contrapporla a quella giovanile, ma denunciarne l’esistenza. Oggi più che mai, in un contesto socio-economico caratterizzato da una disoccupazione diffusa a carattere endemico e strutturale, il primo passo per affrontare questo drammatico fenomeno sociale è riconoscerne le effettive dinamiche e peculiarità, contrastandolo con interventi  qualificati e mirati.

(**) Il numero indicato è il risultato di una approssimazione per difetto ed è ottenuto mediante rielaborazione di dati Istat 2010, sommando  al numero dei disoccupati over 35 quello degli inoccupati over 35, gli scoraggiati che, pur essendo disponibili a lavorare, non cercano più attivamente un’occupazione, in quanto il mercato del lavoro nega loro qualsiasi opportunità di reinserimento lavorativo, discriminandoli  per motivi anagrafici.

(***) Nel 2009, il 63% di chi ha perso il lavoro era precario.