sabato 30 marzo 2013

I disoccupati, popolo invisibile.



La mia è solo una voce, quella messa a tacere, come tante, dall’indifferenza e dal menefreghismo di chi detiene il potere, sia esso politico, economico, informativo.
Siamo il popolo degli invisibili... dei poveri, diventati tali perché perdere il lavoro, e non riuscire più a trovarlo, mette in ginocchio.
Vivere col minimo indispensabile è davvero dura, vivere di "NIENTE" stanca, ma non smettiamo di lottare per rabbia e, spesso, per amore.

Meno di un mese fa sono stata contattata da un'emittente televisiva: se avessi accettato di raccontare la mia condizione in un programma, avrei potuto far sentire la mia voce. Seguì una breve intervista, la mia voce era interrotta continuamente dal pianto che non riuscivo a trattenere... la "povertà" mi ha reso diversa, più fragile, mi spaventa tutti i giorni. Come avrei potuto in pochi minuti spiegare tutta la mia angoscia, tutte le mie difficoltà?
Raccontai dell’aiuto costante da parte dei miei genitori, che ero in arretrato di 7 mesi di affitto e che inizialmente la mia proprietaria voleva sfrattarmi e far pagare a me i costi dello sfratto! Parlai del fatto che non riuscivo a pagare le bollette, che i servizi sociali avevano fatto molto poco perché il Comune – ormai da anni - non riusciva più a rispondere alle richieste dei cittadini. Poi dissi quella pura e unica verità che forse non è stata creduta: sopravvivo con 20 euro alla settimana! Me lo chiedono tutti, come fai a resistere?! Sarà per RABBIA, ma anche per AMORE di mio figlio. Scegliere una vita diversa significa lasciarlo, e questo mi strazia l'anima.

A Bologna, città in cui vivo, ho provato e riprovato a cercare un lavoro. Sapete che anche molte agenzie interinali hanno chiuso i battenti?! Le piccole aziende continuano a chiudere.
Venti persone o alcune centinaia, messe in cassa integrazione da un giorno all'altro, fanno audience, ma gente come noi, che vive la loro stessa vita, che vive in miseria già da anni, che a poco a poco ha perso tutto, non interessa a nessuno. Le persone scrollano le spalle... e tornano alla loro vita.
Ogni giovedì, alla parrocchia del mio quartiere distribuiscono del cibo: sopravvivo, insomma. Raramente posso comprare la carne. Mio figlio ha 16 anni, ha un futuro assicurato nell'alberghiero. Faccio enormi sacrifici per potergli far ottenere quel diploma. I miei genitori fanno l'impossibile. Il mio ex marito ride delle mie difficoltà, e non ci aiuta come dovrebbe... L'avvocato costa e il gratuito patrocinio... lasciamo perdere. Il mondo si muove grazie ai soldi, ed io i soldi non li ho!

La povertà, la disoccupazione sono il risultato del cattivo governo di anni e anni. Abbiamo fame anche di Giustizia. Siamo disorientati, insicuri, angosciati, e i politici dovrebbero preoccuparsi innanzitutto dei cittadini. Mi sono stufata delle parole, io ho bisogno di FATTI. Com’è un fatto che non mi è permesso sognare, progettare un avvenire, mi manca il presente, vivo giorno per giorno e, come me, tantissime altre persone e famiglie.
La solidarietà della povera gente è quell'abbraccio che ti rassicura, è quella mano che ti asciuga il pianto. La mia proprietaria qualche giorno più tardi mi ha chiesto scusa, ma è giusto, io lo comprendo che sono dodici mesi che pago tra acconti e saldi, e a volte non posso proprio. Lei ha ragione, ma anch’io ho ragione. E chi ha torto? Intanto le Istituzioni, le forze politiche, i sindacati, che dovrebbero adoperarsi per il bene comune, per i cittadini, e non lo fanno!
Non scrivo per avere un trafiletto sul giornale; scrivo perché non voglio perdere la mia dignità (se ce l'ho ancora), non voglio perdere la mia casa, ma sopratutto non voglio scegliere tra un possibile lavoro ovunque e mio figlio. Mi chiamo Monica Monelli e ho bisogno di essere ascoltata, forse portavoce di quella parte del Paese che non è più tutelata da nessuno, ormai invisibile, cui hanno strappato tutti i diritti, compreso quello di vivere... Io, nel frattempo, non smetterò di urlare!!!

30 marzo 2013



DISOCCUPAZIONE ADULTA - Intervista al Presidente dell'Associazione Lavoro Over 40, G. Zaffarano


di Luchino Galli, blogger e mediattivista

1) Dottor Zaffarano, quando è stata costituita l’Associazione Lavoro Over 40, e a quali scopi?  

L’associazione è sorta nel 2003 a cura di un gruppo di persone che hanno vissuto sulla propria pelle la disoccupazione in età matura con difficoltà infinite al reinserimento lavorativo. Alle moltissime aziende che rifiutavano, ed ancora rifiutano, i lavoratori maturi, si accompagnavano la mancanza di strumenti legislativi idonei a sostenere queste persone e la sordità del sindacato, che continuava invece la politica di dismissione dei lavoratori maturi in accordo con le associazioni di categoria.
Il risultato? Una fascia di persone oltre i 40 anni completamente dimenticata. Ecco perché occorreva fare emergere la nostra voce. 

 2) Chi si rivolge all’associazione, e per quali motivi? Com’è cambiato negli anni l’utente dell’associazione? 
  
L’associazione viene contattata da disoccupati di lunga durata, persone in CIG, in mobilità - che si aspettano una esclusione dal mondo lavorativo a breve - lavoratori in mobbing. Un panorama umano di donne, uomini, operai, impiegati, dirigenti, direttori, ex artigiani, lavoratori autonomi che vivono una condizione di difficoltà aggravata dal fatto di avere avanti a sé un muro di incomprensione e un rifiuto spesso secco a reinserirli.
Negli anni la crisi ha accentuato ancora di più la criticità del lavoro maturo. 
  
3) Secondo l’Istat, sotto il profilo demografico, le classi d’età fino a 34 anni sono “oramai da identificare come la componente giovanile della disoccupazione”. Come si caratterizza la disoccupazione adulta rispetto a quella giovanile? Cosa comporta per un adulto essere disoccupato? 
  
Limitando l’analisi ai solo Over 40, parliamo di oltre 1.5 milioni di disoccupati e di scoraggiati (coloro che hanno rinunciato a cercare lavoro), totalmente dimenticati.
La tabella1 sottostante riporta un’elaborazione fatta sulla base di dati ufficiali rilevabili da ISTAT.



Essa dimostra che i disoccupati in età matura sono di numero SUPERIORE ai giovani disoccupati. Nessuno se ne preoccupa. Nessuno considera che  la disoccupazione in età matura comporta gravi conseguenze sociali. Occorre invece far fronte all’emergenza della disoccupazione dei lavoratori maturi (over 40/50/60), che sono il cardine della famiglia, la generazione “cerniera” tra giovani ed anziani. Gli Over 40 devono infatti spesso sostenere sia i giovani figli sia gli anziani genitori. Senza contare i devastanti effetti personali di perdita di dignità e identità.

4) Nel nostro Paese, quanti sono i disoccupati adulti? Quante famiglie subiscono la disoccupazione adulta?

E’ difficile fare una stima dell'entità di queste famiglie in quanto non tutti sono disponibili a mettere in evidenza le loro difficoltà. Sono numerosi i casi di capifamiglia che si presentano lamentando la preoccupazione di non poter dare un futuro ai giovani figli, oppure di casi in cui la disoccupazione ha accentuato la disgregazione familiare per difficoltà economiche. Ma anche casi in cui la speranza dei giovani si infrange, per  sostenete le difficoltà familiari incombenti, magari interrompendo cicli di studio o altri percorsi di crescita.
Se vogliamo dare una stima approssimativa per difetto, e sulla base delle nostre esperienze di contatto quotidiano, è possibile dire che circa il 50-60% dei disoccupati in età matura soffra questa esclusione con gravi problemi familiari.
  
5) È un’amara constatazione: i disoccupati con almeno 35 anni stentano a reinserirsi nel mondo del lavoro perché le imprese non li assumono! Un esempio emblematico: dall’indagine dell’Associazione Direttori Risorse Umane (G.I.D.P./H.R.D.A.), “ I trend occupazionali delle imprese italiane” per il 2010, emerse che nel corso dello stesso anno solo il 14,6% delle nuove assunzioni avrebbe riguardato personale dai 35 anni in su. Nel 2012, puntualizza l’Istat, l’incremento della disoccupazione ha coinvolto “in più della metà dei casi persone con almeno 35 anni”; nello stesso anno i nuovi iscritti ai Centri per l’impiego, in seguito alla perdita del lavoro, sono stati in maggioranza cittadini con almeno 35 anni. Dottor Zaffarano, quali sono le proposte dell’Associazione Lavoro Over 40 per contrastare la disoccupazione adulta? Può illustrarci le iniziative in corso?

Non ci sono ricette particolari o proposte che risolvano semplicemente il problema. Esiste invece la necessità di parlarne insieme - associazioni, imprese, sindacati e istituzioni - per formulare priorità da affrontare senza schematici arroccamenti, spesso causa delle NON SOLUZIONI. Non giova a nessuno difendere la propria classe di riferimento (lavoratori, imprenditori, artigiani, commercianti, politici), dimenticando il mondo circostante. Soprattutto in questo lungo periodo di crisi dobbiamo avere il coraggio di andare insieme alla ricerca di una nuova modalità organizzativa del mondo del lavoro che non ha più frontiere nazionali, ma aspetti internazionali sempre più globali e spesso disomogenei.
A nostro parere ci possono essere interventi strategici che possono indirizzare al cambiamento. Proviamo ad indicarli.

Politiche attive
Nella riforma del lavoro Fornero (legge 92/12) si riconosce lo sforzo di dotare il sistema pubblico di una nuova impostazione per le politiche attive e di condizionare il trattamento salariale per il periodo di disoccupazione associandolo ad un percorso di reinserimento seriamente vigilato.
Tale sforzo è però inutile se non accompagnato da una rigida, costante ed efficace funzione di controllo per correggere le distorsioni ai principi fondanti della riforma. Inoltre si devono sviluppare altre azioni finalizzate a ridurre o eliminare il fenomeno, soprattutto azioni a completamento.

Incentivi all’assunzione o autoimprenditoria?
Per non emarginare i disoccupati in età matura si potrebbero prevedere incentivi alle aziende anche per il reinserimento degli Over 40 nel mondo del lavoro, analogamente a quanto previsto per contrastare la disoccupazione giovanile, femminile e Over 50.
In questo modo, però, si correrebbe il rischio di vanificare l’effetto “incentivi”: si arriverebbe al paradosso di incentivare il reinserimento di tutti i lavoratori, annullando l’effetto stimolante sul mercato. Senza considerare, poi, che nella realtà le aziende non condizionano l’assunzione di una persona all’esistenza di incentivi, ma si fanno guidare da altri criteri.
Probabilmente la strada è quella di annullare tutte le forme di incentivi all'assunzione, salvo le categorie protette (con conseguente risparmio per lo Stato), e sostituirle con sostegni al reddito al lavoratore disoccupato anche di lunga duratacondizionati allo sviluppo di percorsi di inserimento e reinserimento concordati con le aziende. Questo per evitare che tali sostegni si traducano in pura assistenza, senza l’impegno attivo e diretto del lavoratore al proprio reinserimento.

Flexicurity
In Europa si parla sempre da molti anni di flexicurity, una modalità organizzativa che tende a conciliare le due opposte tendenze di attenzione al mercato e ai lavoratori, per trovare un punto di equilibrio.
In Italia di flexicurity non si sente parlare o se ne sente parlare a sproposito, evidenziandone solo punti critici e negativi. Un politica culturale in questa direzione consentirebbe di predisporre azioni che abbiano effetto in futuro. Una politica che sappia trovare un giusto equilibrio tra le parti sociali (sindacati, associazioni datoriali e istituzioni), nel rispetto delle reciproche esigenze e diritti da salvaguardare.

Implementare maggiormente la Flessibilità tutelata
Se un lavoratore viene chiamato ad una forma flessibile di lavoro, accetta il rischio di avere un lavoro temporaneo e quindi di passare alcuni periodi senza essere occupato. E allora perché non pagarlo più di un lavoratore a tempo indeterminato? Qualcosa è stato proposto ma non è sufficiente. L’attuazione della flessibilità tutelata consente di calmierare il mercato della precarietà, orientandolo verso la vera flessibilità.

Controllo rigido della discriminazione. Aumento delle sanzioni previste dalle norme in materia di lavoro.
L’esempio di discriminazione è quotidiano: basta aprire i giornali e leggere le offerte di occupazione, oppure scorrere le offerte di occupazione delle istituzioni, per averne un esempio. E tutto questo in contrasto con le strategie di Lisbona e con la normativa europea.
Spesso la norma che vieta la discriminazione (DLGS 216/03) viene disattesa da privati, agenzie per il lavoro e intermediari del mondo del lavoro. Ma, peggio, assistiamo a violazioni del DLGS 216/03 nel pubblico, dove si continuano a pubblicare bandi di concorso illeciti con paradossali anacronistici limiti di età vietati dall’ordinamento giuridico.
Occorre prevedere interventi di maggior controllo delle leggi, inasprendo le sanzioni e portandole a valori altamente incisivi (e non simbolici come gli attuali), soprattutto attivando gli organismi di controllo per la loro rigida e ferrea applicazione.

Cambiare la cultura del mondo del lavoro
È la maggiore e più radicale sfida che occorre affrontare.
Gli imprenditori devono cambiare mentalità, impegnandosi culturalmente alla piena valorizzazione del Capitale Umano.
sindacati devono modificare il loro approccio difendendo le tutele del lavoratore, ma anche pretendendo dal lavoratore l’attenzione verso i propri doveri.
Anche il lavoratore deve essere disponibile alla formazione continua.
Le istituzioni devono saper governare e guidare lo sviluppo armonico di queste componenti senza far prevalere una delle parti, e soprattutto devono diventare il garante di questo sviluppo.
E’ ingiusto fare leggi che favoriscono il lavoro dei carcerati oppure la cassa integrazione Alitalia o altre grandi aziende in crisi, e poi trascurare altri cittadini che per loro sventura si sono trovati senza lavoro in età matura.

6) In Italia la disoccupazione adulta, aumentando di anno in anno, ha ormai eguagliato quella giovanile: nel secondo trimestre del 2012 l’Istat ha censito 1 386 000 disoccupati sotto i 35 anni e 1 320 000 disoccupati con almeno 35 anni, il 48,8% del totale dei disoccupati; nel terzo e quarto trimestre del 2012, la disoccupazione adulta ha ulteriormente accelerato e nel 2013, alla luce di questa tendenza, il numero complessivo dei disoccupati censiti dall’Istat con almeno 35 anni supererà quello dei disoccupati sotto i 35 anni. Quali le cause? A Suo avviso, la riforma Fornero del mercato del lavoro porterà a un aumento della disoccupazione adulta?

Rimarchiamo che è assolutamente sconcertante verificare che nell’affrontare la riforma del lavoro si sia pensato solo ai lavoratori occupati, ponendo l’accento in modo ossessivo sulla disoccupazione giovanile e femminile. Tale atteggiamento è un inconcepibile ed assurdo assunto, un violento schiaffo dato ai lavoratori in età matura.
La disoccupazione in età matura sarà destinata a crescere finché permarranno le rigidità attuali. Se si comincerà a comprendere che l’allungamento della vita lavorativa comporta necessariamente una diversa impostazione delle fasce di età lavorativa, una diversa considerazione del lavoratore maturo - valorizzandone la ricchezza esperenziale (che noi chiamiamo CAPITALE UMANO) e non considerandolo una zavorra - allora qualcosa migliorerà. E questo non solo da parte delle aziende, ma anche da parte delle Istituzioni che devono creare una rete di sostegno efficace ed efficiente in coerenza con il dettato europeo, ma soprattutto in linea con altri paesi europei che da anni hanno adottato tale linea (Danimarca, Olanda, Scandinavia, Inghilterra, parte della Francia etc.).

7) In base all’Istat, “I dipendenti  con almeno 15 anni di anzianità aziendale percepiscono una retribuzione annua superiore del 61,4% rispetto a quella dei dipendenti che sono stati assunti da meno di 5 anni.” Dottor Zaffarano, non ritiene che l’accantonamento del lavoratore adulto sia strumentale?

 Se per strumentale si intende che si rifiuta il lavoratore maturo perché “costa troppo”, è vero. È naturale che ciò accada, ma l’azienda così facendo si comporta in modo miope, non accorgendosi che la strumentalizzazione si ritorce negativamente anche su se stessa.
Infatti un lavoratore maturo ha una grande capacità di problem solving, di iniziative, di inventiva, di minor tempo per adottare le soluzioni e di reazione alle modificazioni delle esigenze di mercato; alla fine il maggior costo viene rapidamente assorbito. Certo è possibile trovare anche giovani in gamba e capaci di adattarsi bene alle situazioni aziendali, di portare freschezza di idee ed iniziative. E allora? Allora quando si fanno delle scelte non è sempre bene guardare al solo aspetto economico, ma anche all’apporto di CAPITALE UMANO che una persona può dare, indipendentemente dall’età.
Bisogna far comprendere alle aziende e alle istituzioni che se si vuole crescere e rimanere sul mercato occorre fare affidamento sul patrimonio delle persone e non mortificarlo fino all’annullamento. Il vero patrimonio è quello di saper far convivere il giovane e l’anziano, all’insegna della solidarietà intergenerazionale, in un equilibrato mix che varia da azienda ad azienda.

 8) La disoccupazione adulta, in Italia, è una disoccupazione di massa, da paura, che si abbatte su milioni di persone e famiglie, eppure è ancora misconosciuta e sottaciuta da partiti e movimenti. Anche nella campagna elettorale delle politiche 2013 la disoccupazione adulta – come fenomeno sociale da contrastare con politiche mirate e qualificate – è stata ignorata; intanto un dilagante e drammatico problema sociale, che richiederebbe provvedimenti immediati, rimane senza prospettiva  di soluzione! Dottor Zaffarano, cosa pensa in merito?

La nostra associazione è definita apartitica, ma non dimentichiamo che dobbiamo avere come interlocutori i partiti politici, se non altro perché sono la nostra naturale interfaccia per costruire qualcosa a livello istituzionale.
Nell’ultima campagna elettorale il tema del lavoro è stato affrontato per quel tanto che basta a risvegliare il voto e non a trovare ipotesi solutive. Si è parlato demagogicamente della disoccupazione giovanile o femminile, ma mai o raramente della disoccupazione in età matura. Abbiamo contattato oltre 300 candidati tra elezioni politiche ed amministrative regionali, ai quali abbiamo sottoposto il problema. Una sessantina ha risposto, ma solo 30 si sono dimostrati interessati al problema, e quelli che sono stati eletti saranno da noi contattati per mantenere l’impegno preso.
La cosa più sconcertante è stata constatare che i partiti che storicamente hanno le radici nella difesa dei lavoratori si sono dimostrati i più refrattari e meno sensibili al problema. Altri, che per logica ne sarebbero lontani, hanno dimostrato un interesse, pur debole. Altri ancora sono rimasti del tutto assenti. Insomma non hanno ben compreso la dimensione del problema e i gravi risvolti sociali.
Di fronte a questo panorama abbiamo compreso che la strada da compiere è in notevole salita e non si presenta certamente facile. Ma non disarmiamo, perché crediamo che in futuro il tema verrà compreso.
Anche i media stanno pian piano occupandosi del problema, lanciando sempre più spesso servizi con lavoratori maturi. Ma ci abbiamo messo dieci anni, abbiamo combattuto strenuamente, non mollando mai. E non molleremo certamente ora.

venerdì 22 marzo 2013

CHI SONO I DISOCCUPATI ADULTI?


di Luchino Galli, blogger e mediattivista

Disoccupati adulti sono le persone relegate al margine o escluse dal mercato del lavoro, discriminate, emarginate per motivi anagrafici…  

Disoccupati adulti sono le persone che nei Centri per l’impiego non trovano offerte di lavoro per le quali candidarsi, a causa di “sopraggiunti limiti d’età”.

Disoccupati adulti sono le persone che le agenzie per il lavoro faticano a presentare alle imprese, data l’età “avanzata”.

Disoccupati adulti sono le persone alle quali non sono rivolti gli annunci di lavoro pubblicati sui giornali e sui siti web, perché giudicate “anziane”.

Disoccupati adulti sono le persone costrette ad arrestarsi, con il loro bel curriculum in mano, davanti all’entrata degli esercizi commerciali, sulle cui vetrine sono affissi cartelli che recitano: “Cercasi personale, età massima 30 – 35 anni”.

I disoccupati adulti hanno almeno 35 anni perché, come chiarito dall’Istat nel “Rapporto annuale sulla situazione del paese nel 2008”, “le classi d’età fino a 34 anni” sono “oramai da identificare come la componente giovanile della disoccupazione”. I 35 anni costituiscono la soglia anagrafica, la linea di demarcazione tracciata dallo stesso mercato del lavoro, oltre la quale le persone incontrano ulteriori e rilevanti difficoltà nella ricerca di un’occupazione! Un esempio emblematico: dall’indagine dell’Associazione Direttori Risorse Umane (G.I.D.P./H.R.D.A.), “I trend occupazionali delle imprese italiane” per il 2010, emerse che nel corso dello stesso anno solo il 14,6% delle nuove assunzioni avrebbe riguardato personale dai 35 anni in su.

Disoccupati adulti… lavoratori accantonati, dimenticati, ritenuti superflui, condannati a una continua, dolorosa, troppo spesso infruttuosa ricerca d’occupazione; gli ultimi ad essere assunti, i primi ad essere licenziati: nel 2012, puntualizza l’Istat, l’incremento della disoccupazione ha coinvolto "in più della metà dei casi persone con almeno 35 anni”; nello stesso anno i nuovi iscritti ai Centri per l’impiego in seguito alla perdita del lavoro sono stati, in maggioranza, cittadini dai 35 anni in su.

Disoccupazione adulta che, aumentando di anno in anno, ha ormai eguagliato quella giovanile: nel secondo trimestre del 2012 l’Istat ha censito 1 386 000  disoccupati sotto i 35 anni e 1 320 000 disoccupati con almeno 35 anni, il 48.8% del totale dei disoccupati; nel terzo e quarto trimestre del 2012, la disoccupazione adulta ha ulteriormente accelerato e nel 2013, alla luce di questa tendenza, il numero complessivo dei disoccupati censiti dall’Istat con almeno 35 anni supererà quello dei disoccupati sotto i 35 anni.

Disoccupazione adulta, disoccupazione di massa, da paura, eppure ancora misconosciuta e sottaciuta da partiti e movimenti. Anche nella campagna elettorale delle politiche 2013 la disoccupazione adulta - come fenomeno sociale da contrastare con interventi mirati e qualificati - è stata ignorata. Intanto un dilagante e drammatico fenomeno sociale, che richiederebbe provvedimenti immediati, rimane senza prospettiva di soluzione, e sempre più persone e famiglie precipitano in una spirale - di povertà ed emarginazione - dalla quale è difficile risalire…
  

DISOCCUPAZIONE: tra silenzi e vergogna


di Luchino Galli, blogger e mediattivista

L’Italia è ormai una repubblica fondata non sul lavoro ma sulla sua progressiva scomparsa! Nel nostro Paese, disoccupazione adulta e giovanile sono in continuo aumento; disoccupazioni diffuse, radicate su tutto il territorio nazionale, in misura crescente non più temporanee ma di lunga durata, espressioni di un mercato del lavoro che offre sempre meno opportunità occupazionali, inseguendo logiche economiche dipinte come ineluttabili.

L’economia di mercato globalizzata, supportata da continue innovazioni tecnologiche e scientifiche, in nome della concorrenza e della massimizzazione del profitto ha attuato precise strategie per abbattere i costi di produzione, riducendo in modo drastico la forza lavoro, diventata una variabile economica da adeguare unicamente all’andamento della produzione industriale e alle oscillazioni dei costi e dei mercati. Le strategie messe in atto? Ristrutturazioni aziendali, esternalizzazioni produttive, delocalizzazioni industriali, la flessibilizzazione del mercato del lavoro - degenerata in precarietà lavorativa, anticamera di tanta disoccupazione - l’internazionalizzazione del mercato del lavoro. Strategie economiche i cui effetti sono stati amplificati da una crisi finanziaria che si è riflessa sull’economia reale, provocando un drammatico aumento della disoccupazione.
E giorno dopo giorno tanto, tantissimo lavoro scompare!

Ma facciamo finta di niente, facciamo finta che il mondo del lavoro non sia cambiato, insinuando nei disoccupati il convincimento che siano gli unici responsabili della loro condizione, per mancanza di impegno, di senso di responsabilità, di volontà e di chissà quali carenze e colpe personali!
Completiamo l’opera coprendo la disoccupazione di biasimo, di esecrazione sociale, e facendo leva sulle paure, sugli spettri che evoca: creiamo il vuoto intorno al disoccupato. Compito agevole in una società nella quale, sempre di più, le relazioni interpersonali, gli stessi valori sono plasmati a immagine e somiglianza dell’economia di mercato, che valorizza cittadini benestanti golosi di tutto e spendaccioni, non poveri disoccupati, consumatori da poco.

La mistificazione è compiuta! I disoccupati si scoprono cittadini inadeguati, colpevolizzati, stigmatizzati e sono indotti a subire passivamente la propria condizione, all’insegna di una vergogna strumentalmente cucita loro addosso!

E allora, disoccupati, facciamo la nostra parte, e… vergogniamoci! Vergogniamoci della nostra misera condizione, e vergogniamoci ancora di più se siamo disoccupati adulti!
Perché la vergogna ammutolisce, colpevolizza, mortifica, paralizza, spinge ad isolarsi, a nascondersi dagli altri, rendendo arrendevoli, rinunciatari, sottomessi… invisibili.
Ed è esattamente così che ci vogliono!
La vergogna è uno strumento prezioso nelle mani delle oligarchie di potere; è un’arma subdola e potente, che trasforma incolpevoli vittime in facili prede. E come scrive Viviane Forrester: “la vergogna dovrebbe essere quotata in borsa: come elemento importantissimo del profitto!”. 

Il primo passo per un cambiamento? Non stare al “giogo”! Denunciare l’omertà e i silenzi che avvolgono la disoccupazione, liberandosi dal senso di colpa, dalla vergogna che l’accompagnano, frutti avvelenati di costruzioni culturali e sociali create ad arte per marginalizzare e ridurre al silenzio chi, della disoccupazione, è in realtà vittima! E lo possiamo fare insieme, imparando a esprimerci come una comunità solidale.


martedì 26 febbraio 2013

Elezioni. Perché cresce l'astensionismo.


di Luchino Galli, blogger e mediattivista

Sulla scia delle recenti elezioni amministrative, anche alle politiche l’astensionismo è volato, toccando un nuovo record: un elettore su quattro ha rinunciato a votare! 

Questo massiccio astensionismo elettorale esprime la profonda sfiducia del cittadino nei confronti di una classe politica alla quale non riconosce la volontà di risolvere i problemi del Paese.

Ad esempio, nella campagna elettorale appena conclusa la disoccupazione adulta – quale drammatico e dilagante fenomeno sociale da affrontare e contrastare con politiche mirate e qualificate - è stata misconosciuta e sottaciuta da partiti e movimenti, e l’assenza di proposte politiche in merito ne costituisce l’oggettivo riscontro. Moltissimi cittadini, milioni di persone e famiglie si sono sentiti abbandonati a loro stessi, orfani, privi di rappresentanza.

La politica ha rinunciato a confrontarsi e a misurarsi su fenomeni sociali - quali la disoccupazione adulta - che attanagliano ormai troppi cittadini, facendo scempio delle loro vite, giorno dopo giorno!

Drammatici problemi - che richiedono seria attenzione, immediati e specifici interventi - rimangono senza prospettiva di soluzione; intanto un numero crescente di italiani precipita in una spirale di povertà e di emarginazione sociale, a volte senza ritorno!

Con l’astensionismo elettorale i cittadini esprimono la propria disaffezione, l’insofferenza nei confronti di un certo modo di fare politica.

Attraverso l’astensionismo elettorale i cittadini denunciano, certificano anche l’inadeguatezza di una classe politica che dichiara di volersi adoperare per il lavoro dei giovani, mentre non ha saputo tutelare quello degli adulti!

E quando un cittadino non si sente rappresentato per l’inadeguatezza delle proposte politiche, l’astensionismo elettorale volontario è atto di protesta civile e democratico - risultato di una sofferta presa di coscienza individuale – ma anche possibile punto di partenza di nuove istanze sociali e politiche!

martedì 2 ottobre 2012

Avvocato di strada - Intervista ad Antonio Mumolo, fondatore e presidente dell'associazione che tutela le persone senza dimora.


Intervista all'Avvocato Antonio Mumolo, fondatore e presidente dell'associazione "Avvocato di strada"
 a cura di Luchino Galli, blogger e mediattivista.

Avvocato Mumolo, quando nasce l’Associazione “Avvocato di strada” e quali finalità persegue?
Il progetto Avvocato di strada è nato nel 2001 all'interno dell'Associazione bolognese Piazza Grande, di cui sono socio fondatore, e che dal 1994 con vari progetti sostiene le persone che vivono in strada in situazioni di forte marginalità sociale. Piazza Grande ha fondato il primo giornale di strada italiano, scritto, redatto e venduto da persone senza dimora, ha creato due Cooperative Sociali, “La Strada” di Piazza Grande che si occupa di inserimento lavorativo e gestisce dormitori comunali e bagni pubblici, e "Fare Mondi" una cooperativa che realizza sgomberi e traslochi, e l'Associazione teatrale di Promozione sociale "Fraternal Compagnia" che fa recitare insieme senza dimora e persone che non provengono dal disagio. Principio guida che permea di sé tutte le iniziative di Piazza Grande è la convinzione che solo attraverso l’autorganizzazione e la ricerca di nuove strategie di intervento sociale volte a superare la propria condizione di utenti-oggetti, le persone possono diventare soggetti attivi, propositivi e capaci di gestire risposte innovative di superamento del proprio disagio socio-economico. All'interno di Piazza Grande ci eravamo resi conto che in poco tempo chi vive in strada finisce per accumulare varie problematiche legali che di fatto ne possono ostacolare il ritorno ad una vita comune. L'obiettivo di Avvocato di strada era proprio quello di riuscire ad offrire una tutela legale gratuita e professionale a tutti i senza tetto che altrimenti non avrebbero potuto far valere i propri diritti. Dopo essere partiti nel 2001, nel 2007 abbiamo fondato l'Associazione nazionale Avvocato di strada, che oggi è diffusa in tutto il territorio nazionale.

Chi si rivolge agli sportelli locali di tutela legale aperti dall’Associazione “Avvocato di strada” in trenta città italiane? E per quali motivi?
Ai nostri sportelli si presentano ogni giorno persone che vivono in strada, uomini e donne, giovani o anziani, italiani o stranieri che hanno problemi di vario genere. Ci sono persone che si rivolgono a noi perché sono state multate perché dormivano su una panchina o perché hanno preso un foglio di via e sarebbero obbligati a lasciare la città dove si trovano. Altri si rivolgono a noi perché hanno subito aggressioni o sono stati derubati, perché hanno problematiche legate alla patria potestà e ai figli minori. Poi ci sono tanti altri che si rivolgono a noi per uno dei problemi principali da noi affrontati: quello della residenza anagrafica. Chi vive in strada perde presto la residenza, e con essa viene privato di tanti diritti fondamentali: non può più votare, non può più ricevere una pensione neanche se ne ha diritto, non può aprire una partita IVA, e non ha diritto alle cure sanitarie continuative. In Italia la residenza anagrafica è talmente importante che la legge obbliga i Comuni a darla a tutte le persone che vivono in un dato territorio. I Comuni, però, troppo spesso preferiscono negare la residenza a chi vive in strada, e allora interveniamo noi.

Nel corso degli anni, come è cambiato l’utente dell’Associazione “Avvocato di strada”?
Fino a pochi anni fa le persone che finivano in strada avevano in genere altre problematiche oltre alla povertà. Si trattava di persone che avevano problemi di dipendenza da alcool o droghe, che avevano malattie particolari o disturbi psichici. Nel corso degli anni ci siamo resi conto che sono diventate sempre di più le persone che prima di finire in strada avevano un lavoro, una famiglia e non avevano avuto mai esperienze di esclusione. Oggi basta una malattia, un matrimonio che si rompe, un licenziamento: se non c'è una rete di amici o di familiari pronta a sostenerci, per tutti si possono spalancare le porte della strada.

Avvocato Mumolo, l’ordinamento giuridico italiano come tutela la persona senza dimora?
Purtroppo le persone deboli sono anche le meno tutelate. In Italia chi ha un reddito inferiore ai 10400 euro annui avrebbe diritto al gratuito patrocinio, ovvero ad un avvocato che verrà pagato dallo Stato. I senza tetto naturalmente hanno un reddito inferiore ai 10400 euro e ne avrebbero diritto, ma per fare la domanda devono avere una residenza anagrafica e devono presentare i documenti relativi alla propria problematica legale. Molto spesso i senza tetto non dispongono nemmeno dei propri documenti di identità e per questo di fatto non hanno quasi mai la possibilità di chiedere il gratuito patrocinio. A quel punto rimaniamo solo noi, che siamo nati proprio perché ci siamo resi conto di questa lacuna.

Le persone senza dimora aumentano giorno dopo giorno; sono l’espressione di un malessere sociale dilagante acuito da una crisi economica di cui non si intravede la fine; le politiche di contenimento salariale, la flessibilità lavorativa degenerata in precarietà, la disoccupazione adulta e giovanile ormai endemica e strutturale, la mancanza di adeguateforme di protezione sociale quanto hanno propiziato una simile deriva?
La crisi economica certamente sta influendo moltissimo il numero dei nuovi poveri, e la precarietà lavorativa è una spada di Damocle per tutti. In Italia purtroppo non possiamo disporre di un Welfare come quello dei paesi del nord Europa, dove se si perde il lavoro si può contare su un reddito di disoccupazione, si viene formati e si viene avviati ad un nuovo lavoro. Da noi se si perde il lavoro si rischia di rimanere disoccupati per anni, senza nessun aiuto che non sia di tipo puramente assistenziale. Tutte queste dinamiche, inoltre, a mio modo di vedere sono acuite dall'allentamento dei legami familiari e amicali e dalla parcellizzazione della nostra società.

Italia, Grecia e Ungheria sono i soli Stati membri dell’Unione europea a non aver ancora istituito il reddito minimo garantito; lo stesso Parlamento europeo, con Risoluzione del 20 ottobre 2010, afferma il ruolo del reddito minimo nella lotta contro la povertà e per la promozione di una società inclusiva in Europa, chiedendo agli Stati membri che ne sono privi “di prevedere l’introduzione di regimi di reddito minimo garantiti per prevenire la povertà e favorire l'inclusione sociale”.
Qual è la Sua posizione in merito, in qualità di fondatore e presidente dell’Associazione “Avvocato di strada”?
Come anticipavo nella risposta precedente, credo che la mancanza di un Welfare adeguato rappresenti un enorme problema per la tenuta della nostra società. Il reddito minimo, insieme ad altri strumenti quali la formazione costante e una flessibilità lavorativa che non pesi solo sulle persone, sarebbe una grande conquista. Su questi temi abbiamo bisogno di cambiare in fretta, e la politica non può aspettare ancora troppo. 

La povertà estrema è ovunque intorno a noi, nelle nostre città, nei nostri quartieri, nelle strade che percorriamo ogni giorno. A Suo avviso, come è possibile far crescere nel nostro Paese una cultura della solidarietà che contrasti efficacemente l’emarginazione e l’esclusione sociale in cui sono precipitate molte persone e famiglie?
I modelli culturali imperanti ci vorrebbero tutti belli, biondi e ricchi e la povertà viene considerata una colpa di cui ci si dovrebbe vergognare. Purtroppo siamo arrivati a questa situazione con un processo lungo anni, che sarà difficile invertire. Per combattere gli effetti negativi di questa cultura abbiamo bisogno di giusti interventi e di ripartire dal piano dell'educazione civica. Il magistrato antimafia Antonino Caponnetto diceva che la coscienza civile si forma all'asilo e non quando è troppo tardi. Nel nostro piccolo, come Associazione Avvocato di strada, cerchiamo di approfittare di ogni occasione per andare nelle scuole e raccontare ai ragazzi quello che facciamo, perché si può finire in strada e quanto è importante sapere aiutare gli altri!

Avvocato Mumolo, ci parla de “La Notte dei senza dimora” 2012, iniziativa che l’Associazione “Avvocato di strada” contribuisce a coordinare?
Ogni anno il 17 ottobre si celebra la Giornata mondiale della lotta alla miseria, e la data ha un significato particolare per tutte le organizzazioni che si occupano di persone senza fissa dimora e di esclusione sociale. In tutte le città del mondo si tengono iniziative e manifestazioni che rendono maggiormente visibili problemi che generalmente vengono nascosti dietro un velo di ipocrisia e di assistenzialismo. La consuetudine di festeggiare questa giornata nasce il 17 ottobre 1987, quando davanti a 100 mila persone, padre Joseph Wresinski inaugurò una lapide in commemorazione di tutte le vittime della miseria: a Parigi, sul «sagrato delle libertà e dei diritti dell’uomo», al Trocadero. La tradizione è stata poi successivamente riconosciuta ufficialmente anche dalle Nazioni Unite, nel 1992.
Anche nel nostro paese la ricorrenza si festeggia da molti anni, e ogni anno le associazioni si trovano nelle piazze delle principali città italiane per iniziative varie. In alcune città si organizzano convegni, cene o  spettacoli di piazza, e in molti casi i volontari si fermano a dormire in strada per tutta la notte, per denunciare e rendere più visibile la situazione delle migliaia di persone che ogni notte sono costrette a dormire all'aperto perché non hanno una casa o un posto in dormitorio.
Come tutti gli anni il prossimo 17 ottobre anche noi saremo presenti in diverse città per incontrare cittadini, distribuire materiali e portare la nostra solidarietà a chi vive in strada.