mercoledì 21 settembre 2011

L’invisibilità taciuta del disoccupato

Il disoccupato vive di precarietà assoluta! Ovvero: se un precario è “precario”, la precarietà dei disoccupati è un buco nero che li inghiotte nella sua lunga notte...

Chi è disoccupato difficilmente ha i requisiti richiesti dalla legge per ottenere magri sussidi e ammortizzatori sociali, provvidenze insufficienti e temporanee.
Il disoccupato cade – se ancora un po’ fortunato - fra le braccia di una buona mamma, di un premuroso papà, di una paziente zia, di un anziano che in famiglia lo prenderà (fino a quando?) sotto la sua ala, cioè – appunto - cade nella precarietà assoluta, perché non è più autonomo, non è più libero (gli aiuti familiari non sono sempre incondizionati…), non è più sicuro di nulla, perché non tiene lui la mano “sul rubinetto che gli versa da bere”.

E se questi familiari benevoli non esistono? O cosa succede quando si interrompe per qualsiasi motivo il legame con la famiglia di origine? Cosa ne è dei disoccupati adulti che per motivi anagrafici sono spesso completamente abbandonati?

Nel 2009, oltre il 65% degli accessi alla Caritas di Lucca (il dato si riferisce a cittadini italiani) è fatto da persone – indistintamente donne e uomini - di età compresa fra i 35 e i 54 anni. Questa percentuale fa pensare…

Pur consapevoli dei 1000 distinguo di cui la vita pratica si nutre, sentiamo di dover dire che nessuno vive la precarietà come il disoccupato, sia egli italiano o migrante.

Il disoccupato è una persona come le altre, e può avere o non avere:
- un buon conto in banca,
- un mutuo da pagare con regolarità;
- un affitto da pagare;
- dei figli da mantenere;
- parenti e/o veri amici che possono venirgli in aiuto…

C’è una cosa che il disoccupato non ha: un lavoro.

Ci saranno precari più precari di alcuni disoccupati, ma è conseguenza logica ritenere che se fatichiamo con un misero stipendio di 800 euro mensili, o addirittura 400-500 euro mensili, non percepire nulla è assoluta disperazione!!

Vogliamo dare forma, corpo, sostanza all’invisibilità; l’invisibilità taciuta del disoccupato, frutto di una ben precisa costruzione culturale e sociale che lo condanna a un’impietosa marginalizzazione che ne minaccia l’identità e lo stesso diritto di vivere!

E ciò che è più grave è che un disoccupato oggi non è più l’oggetto di un accantonamento provvisorio e occasionale, di una disoccupazione ciclica, ma di una disoccupazione ormai strutturale che rischia di escluderlo definitivamente dal mercato del lavoro quale scarto e rifiuto dell’economia globalizzata.




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