di Luchino Galli,
blogger e mediattivista
1) Dottor
Zaffarano, quando è stata costituita l’Associazione Lavoro Over 40, e a quali
scopi?
L’associazione è sorta
nel 2003 a cura di un gruppo di persone che hanno vissuto sulla propria pelle
la disoccupazione in età matura con difficoltà infinite al reinserimento
lavorativo. Alle moltissime aziende che rifiutavano, ed ancora rifiutano, i
lavoratori maturi, si accompagnavano la mancanza di strumenti legislativi
idonei a sostenere queste persone e la sordità del sindacato, che continuava
invece la politica di dismissione dei lavoratori maturi in accordo con le
associazioni di categoria.
Il risultato? Una fascia di persone oltre i 40 anni
completamente dimenticata. Ecco perché occorreva fare emergere la nostra
voce.
2) Chi si rivolge all’associazione, e per quali motivi? Com’è cambiato
negli anni l’utente dell’associazione?
L’associazione viene
contattata da disoccupati di lunga durata, persone in CIG, in mobilità - che si
aspettano una esclusione dal mondo lavorativo a breve - lavoratori in mobbing. Un
panorama umano di donne, uomini, operai, impiegati, dirigenti, direttori, ex
artigiani, lavoratori autonomi che vivono una condizione di difficoltà aggravata
dal fatto di avere avanti a sé un muro di incomprensione e un rifiuto
spesso secco a reinserirli.
Negli anni la crisi ha accentuato ancora di più la
criticità del lavoro maturo.
3) Secondo
l’Istat, sotto il profilo demografico, le classi d’età fino a 34 anni sono
“oramai da identificare come la componente giovanile della disoccupazione”.
Come si caratterizza la disoccupazione adulta rispetto a quella giovanile? Cosa
comporta per un adulto essere disoccupato?
Limitando l’analisi ai
solo Over 40, parliamo di oltre 1.5 milioni di disoccupati e di scoraggiati
(coloro che hanno rinunciato a cercare lavoro), totalmente dimenticati.
La tabella1
sottostante riporta un’elaborazione fatta sulla base di dati ufficiali
rilevabili da ISTAT.
Essa dimostra che i
disoccupati in età matura sono di numero SUPERIORE ai giovani disoccupati. Nessuno
se ne preoccupa. Nessuno considera che la disoccupazione in età matura
comporta gravi conseguenze sociali. Occorre invece far fronte all’emergenza della
disoccupazione dei lavoratori maturi (over 40/50/60), che sono il cardine della
famiglia, la generazione “cerniera” tra giovani ed anziani. Gli Over 40 devono infatti
spesso sostenere sia i giovani figli sia gli anziani genitori. Senza contare i
devastanti effetti personali di perdita di dignità e identità.
4) Nel nostro
Paese, quanti sono i disoccupati adulti? Quante famiglie subiscono la
disoccupazione adulta?
E’ difficile fare una
stima dell'entità di queste famiglie in quanto non tutti sono disponibili a
mettere in evidenza le loro difficoltà. Sono numerosi i casi di capifamiglia
che si presentano lamentando la preoccupazione di non poter dare un futuro ai
giovani figli, oppure di casi in cui la disoccupazione ha accentuato la
disgregazione familiare per difficoltà economiche. Ma anche casi in cui la
speranza dei giovani si infrange, per sostenete le difficoltà familiari
incombenti, magari interrompendo cicli di studio o altri percorsi di crescita.
Se vogliamo dare una
stima approssimativa per difetto, e sulla base delle nostre esperienze di
contatto quotidiano, è possibile dire che circa il 50-60% dei disoccupati in
età matura soffra questa esclusione con gravi problemi familiari.
5) È un’amara
constatazione: i disoccupati con almeno 35 anni stentano a reinserirsi nel
mondo del lavoro perché le imprese non li assumono! Un esempio emblematico:
dall’indagine dell’Associazione Direttori Risorse Umane (G.I.D.P./H.R.D.A.), “
I trend occupazionali delle imprese italiane” per il 2010, emerse che
nel corso dello stesso anno solo il 14,6% delle nuove assunzioni avrebbe
riguardato personale dai 35 anni in su. Nel 2012, puntualizza l’Istat,
l’incremento della disoccupazione ha coinvolto “in più della metà dei casi
persone con almeno 35 anni”; nello stesso anno i nuovi iscritti ai Centri per
l’impiego, in seguito alla perdita del lavoro, sono stati in maggioranza
cittadini con almeno 35 anni. Dottor Zaffarano, quali sono le proposte
dell’Associazione Lavoro Over 40 per contrastare la disoccupazione adulta? Può
illustrarci le iniziative in corso?
Non ci sono ricette
particolari o proposte che risolvano semplicemente il problema. Esiste
invece la necessità di parlarne insieme - associazioni, imprese, sindacati e
istituzioni - per formulare priorità da affrontare senza schematici
arroccamenti, spesso causa delle NON SOLUZIONI. Non giova a nessuno difendere
la propria classe di riferimento (lavoratori, imprenditori, artigiani,
commercianti, politici), dimenticando il mondo circostante. Soprattutto in
questo lungo periodo di crisi dobbiamo avere il coraggio di andare insieme alla
ricerca di una nuova modalità organizzativa del mondo del lavoro che non
ha più frontiere nazionali, ma aspetti internazionali sempre più globali e
spesso disomogenei.
A nostro parere ci
possono essere interventi strategici che possono indirizzare al cambiamento. Proviamo
ad indicarli.
Politiche attive
Nella riforma del
lavoro Fornero (legge 92/12) si riconosce lo sforzo di dotare il sistema
pubblico di una nuova impostazione per le politiche attive e di condizionare il
trattamento salariale per il periodo di disoccupazione associandolo ad un
percorso di reinserimento seriamente vigilato.
Tale sforzo è però inutile
se non accompagnato da una rigida, costante ed efficace funzione di controllo per
correggere le distorsioni ai principi fondanti della riforma. Inoltre si devono
sviluppare altre azioni finalizzate a ridurre o eliminare il fenomeno, soprattutto
azioni a completamento.
Incentivi all’assunzione o autoimprenditoria?
Per non emarginare i disoccupati in età matura si potrebbero
prevedere incentivi alle aziende anche per il reinserimento degli Over 40 nel mondo del lavoro, analogamente
a quanto previsto per contrastare la disoccupazione giovanile, femminile e Over
50.
In questo modo, però,
si correrebbe il rischio di vanificare l’effetto “incentivi”: si
arriverebbe al paradosso di incentivare il reinserimento di tutti i lavoratori,
annullando l’effetto stimolante sul mercato. Senza considerare, poi, che nella
realtà le aziende non condizionano l’assunzione di una persona all’esistenza di
incentivi, ma si fanno guidare da altri criteri.
Probabilmente la
strada è quella di annullare tutte le forme di incentivi all'assunzione,
salvo le categorie protette (con conseguente risparmio per lo Stato), e
sostituirle con sostegni al reddito al lavoratore disoccupato anche
di lunga durata, condizionati allo sviluppo di percorsi di
inserimento e reinserimento concordati con le aziende. Questo per evitare che
tali sostegni si traducano in pura assistenza, senza l’impegno attivo e diretto
del lavoratore al proprio reinserimento.
Flexicurity
In Europa si parla
sempre da molti anni di flexicurity, una modalità organizzativa che tende a
conciliare le due opposte tendenze di attenzione al mercato e ai lavoratori,
per trovare un punto di equilibrio.
In Italia di flexicurity non si sente parlare
o se ne sente parlare a sproposito, evidenziandone solo punti critici e
negativi. Un politica culturale in questa direzione consentirebbe di predisporre
azioni che abbiano effetto in futuro. Una politica che sappia trovare un giusto
equilibrio tra le parti sociali (sindacati, associazioni datoriali e
istituzioni), nel rispetto delle reciproche esigenze e diritti da
salvaguardare.
Implementare maggiormente la Flessibilità tutelata
Se un lavoratore viene
chiamato ad una forma flessibile di lavoro, accetta il rischio di avere un
lavoro temporaneo e quindi di passare alcuni periodi senza essere occupato. E
allora perché non pagarlo più di un lavoratore a tempo indeterminato?
Qualcosa è stato proposto ma non è sufficiente. L’attuazione della flessibilità
tutelata consente di calmierare il mercato della precarietà, orientandolo verso
la vera flessibilità.
Controllo rigido della discriminazione. Aumento delle
sanzioni previste dalle norme in materia di lavoro.
L’esempio di
discriminazione è quotidiano: basta aprire i giornali e leggere le offerte di
occupazione, oppure scorrere le offerte di occupazione delle istituzioni, per
averne un esempio. E tutto questo in contrasto con le strategie di Lisbona e
con la normativa europea.
Spesso la norma che
vieta la discriminazione (DLGS 216/03) viene disattesa da privati, agenzie per
il lavoro e intermediari del mondo del lavoro. Ma, peggio, assistiamo a
violazioni del DLGS 216/03 nel pubblico, dove si continuano a pubblicare bandi
di concorso illeciti con paradossali anacronistici limiti di età vietati
dall’ordinamento giuridico.
Occorre prevedere
interventi di maggior controllo delle leggi, inasprendo le sanzioni e
portandole a valori altamente incisivi (e non simbolici come gli attuali),
soprattutto attivando gli organismi di controllo per la loro rigida e ferrea
applicazione.
Cambiare la cultura del mondo del lavoro
È la maggiore e più
radicale sfida che occorre affrontare.
Gli imprenditori devono
cambiare mentalità, impegnandosi culturalmente alla piena valorizzazione del
Capitale Umano.
I sindacati devono
modificare il loro approccio difendendo le tutele del lavoratore, ma
anche pretendendo dal lavoratore l’attenzione verso i propri doveri.
Anche il lavoratore deve
essere disponibile alla formazione continua.
Le istituzioni devono
saper governare e guidare lo sviluppo armonico di queste componenti senza far
prevalere una delle parti, e soprattutto devono diventare il garante di questo
sviluppo.
E’ ingiusto fare leggi che favoriscono il lavoro dei
carcerati oppure la cassa integrazione Alitalia o altre grandi aziende in
crisi, e poi trascurare altri cittadini che per loro sventura si sono trovati
senza lavoro in età matura.
6) In Italia la
disoccupazione adulta, aumentando di anno in anno, ha ormai eguagliato quella
giovanile: nel secondo trimestre del 2012 l’Istat ha censito 1 386 000
disoccupati sotto i 35 anni e 1 320 000 disoccupati con almeno 35 anni, il
48,8% del totale dei disoccupati; nel terzo e quarto trimestre del 2012, la
disoccupazione adulta ha ulteriormente accelerato e nel 2013, alla luce di
questa tendenza, il numero complessivo dei disoccupati censiti dall’Istat con
almeno 35 anni supererà quello dei disoccupati sotto i 35 anni. Quali le cause?
A Suo avviso, la riforma Fornero del mercato del lavoro porterà a un aumento
della disoccupazione adulta?
Rimarchiamo che è
assolutamente sconcertante verificare che nell’affrontare la riforma del lavoro si sia pensato solo ai lavoratori
occupati, ponendo l’accento in modo ossessivo sulla disoccupazione
giovanile e femminile. Tale atteggiamento è un inconcepibile ed assurdo
assunto, un violento schiaffo dato ai lavoratori in età matura.
La disoccupazione in
età matura sarà destinata a crescere finché permarranno le rigidità attuali. Se
si comincerà a comprendere che l’allungamento della vita lavorativa comporta
necessariamente una diversa impostazione delle fasce di età lavorativa, una
diversa considerazione del lavoratore maturo - valorizzandone la ricchezza
esperenziale (che noi chiamiamo CAPITALE UMANO) e non considerandolo una
zavorra - allora qualcosa migliorerà. E questo non solo da parte delle aziende,
ma anche da parte delle Istituzioni che devono creare una rete di sostegno
efficace ed efficiente in coerenza con il dettato europeo, ma soprattutto in
linea con altri paesi europei che da anni hanno adottato tale linea (Danimarca,
Olanda, Scandinavia, Inghilterra, parte della Francia etc.).
7) In base
all’Istat, “I dipendenti con almeno 15 anni di anzianità aziendale
percepiscono una retribuzione annua superiore del 61,4% rispetto a quella dei
dipendenti che sono stati assunti da meno di 5 anni.” Dottor Zaffarano, non
ritiene che l’accantonamento del lavoratore adulto sia strumentale?
Se per strumentale si intende che si rifiuta il lavoratore maturo perché
“costa troppo”, è vero. È naturale che ciò accada, ma l’azienda così
facendo si comporta in modo miope, non accorgendosi che la strumentalizzazione
si ritorce negativamente anche su se stessa.
Infatti un lavoratore
maturo ha una grande capacità di problem solving, di iniziative, di inventiva,
di minor tempo per adottare le soluzioni e di reazione alle modificazioni delle
esigenze di mercato; alla fine il maggior costo viene rapidamente assorbito.
Certo è possibile trovare anche giovani in gamba e capaci di adattarsi bene
alle situazioni aziendali, di portare freschezza di idee ed iniziative. E
allora? Allora quando si fanno delle scelte non è sempre bene guardare al solo aspetto
economico, ma anche all’apporto di CAPITALE UMANO che una persona può dare,
indipendentemente dall’età.
Bisogna far
comprendere alle aziende e alle istituzioni che se si vuole crescere e rimanere
sul mercato occorre fare affidamento sul patrimonio delle persone e non
mortificarlo fino all’annullamento. Il
vero patrimonio è quello di saper far convivere il giovane e l’anziano,
all’insegna della solidarietà intergenerazionale, in un equilibrato mix che
varia da azienda ad azienda.
8) La disoccupazione adulta, in Italia, è una disoccupazione di massa, da paura,
che si abbatte su milioni di persone e famiglie, eppure è ancora misconosciuta
e sottaciuta da partiti e movimenti. Anche nella campagna elettorale delle
politiche 2013 la disoccupazione adulta – come fenomeno sociale da contrastare
con politiche mirate e qualificate – è stata ignorata; intanto un dilagante e
drammatico problema sociale, che richiederebbe provvedimenti immediati, rimane
senza prospettiva di soluzione! Dottor Zaffarano, cosa pensa in merito?
La nostra associazione
è definita apartitica, ma non dimentichiamo che dobbiamo avere come
interlocutori i partiti politici, se non altro perché sono la nostra naturale
interfaccia per costruire qualcosa a livello istituzionale.
Nell’ultima campagna
elettorale il tema del lavoro è stato affrontato per quel tanto che basta a
risvegliare il voto e non a trovare ipotesi solutive. Si è parlato
demagogicamente della disoccupazione giovanile o femminile, ma mai o raramente
della disoccupazione in età matura. Abbiamo contattato oltre 300 candidati tra
elezioni politiche ed amministrative regionali, ai quali abbiamo sottoposto il
problema. Una sessantina ha risposto, ma solo 30 si sono dimostrati interessati
al problema, e quelli che sono stati eletti saranno da noi contattati per
mantenere l’impegno preso.
La cosa più
sconcertante è stata constatare che i partiti che storicamente hanno le radici
nella difesa dei lavoratori si sono dimostrati i più refrattari e meno
sensibili al problema. Altri, che per logica ne sarebbero lontani, hanno
dimostrato un interesse, pur debole. Altri ancora sono rimasti del tutto
assenti. Insomma non hanno ben compreso la dimensione del problema e i gravi risvolti
sociali.
Di fronte a questo
panorama abbiamo compreso che la strada da compiere è in notevole salita e non
si presenta certamente facile. Ma non disarmiamo, perché crediamo che in futuro
il tema verrà compreso.
Anche i media stanno pian piano occupandosi del
problema, lanciando sempre più spesso servizi con lavoratori maturi. Ma ci
abbiamo messo dieci anni, abbiamo combattuto strenuamente, non mollando mai. E
non molleremo certamente ora.