mercoledì 27 giugno 2012

Terzo Mondo... a Pisa!


da Il Tirreno, di Danilo Renzullo e Enrico Santus 

Soli ed emarginati. Invisibili ed indesiderati. Vivono in bilico nell’incertezza del presente e nell’assenza di prospettive per il futuro. Antonio (il nome è di fantasia, ndR) ha 47 anni, la barba folta e degli orecchini dorati. Dai suoi occhi lucidi traspare un misto di rabbia e malinconia. Ci aspetta piegato sull’uscio della cantina in cui vive da undici anni. Un puzzo di muffa ci punge il naso. Esitiamo, poi ci inchiniamo e procediamo goffamente nel corridoio alto un metro e cinquanta che si apre nel sottoscala di una casa popolare del quartiere di Sant’Ermete. Antonio accenna un sorriso e mentre varchiamo la soglia ci avverte: «State attenti alla testa!».

Anche Daniela (il nome è di fantasia, ndR) ci ha accolti con un sorriso. Anche lei, come Antonio, vive in una casa popolare a Sant’Ermete. Una casa vera, piccola ma accogliente. Da qualche mese, però, deve vedersela con un’ordinanza di sfratto per morosità. È separata. Ha una cinquantina d’anni e due figli a carico, uno dei quali si trova in comunità. Lavora con un contratto a cottimo per una cooperativa di pulizie presso il polo di Ingegneria, dove si reca ogni notte in bicicletta.
L’uscio di casa sua sembra un comune portoncino, se non fosse per l’assenza di serratura. Basta spingere appena e si è dentro l’appartamento: un salottino con le pareti coperte da stemmi di Pisa e cornetti portafortuna, una piccola cucina, un bagno e due camere. Tutto è ben tenuto.

Molto meno ordinata è invece la stanza in cui vive Antonio: un tugurio di 15 metri quadrati dove è obbligatorio rimanere inchinati o seduti. L’arredamento è costituito da mobiletti di fortuna e da un grande letto matrimoniale, sul quale è degente Lucia (nome di fantasia, ndR), che Antonio ospita da qualche anno perché rimasta anche lei senza casa e perché gravemente ammalata. «Ho avuto un tumore – racconta la donna tra un colpo di tosse e l’altro – e Antonio mi assiste». Nella stanza non sono presenti servizi igienici e quando ci guardiamo intorno stupefatti, i due ci spiegano: «Ci aggiustiamo come possiamo».
Qui, la televisione è sempre accesa. Non ci sono altre distrazioni né prospettive lavorative per i due inquilini. Antonio un tempo lavorava a Bientina per un’azienda che produce materie plastiche. Qualche anno fa è stato travolto da un’auto e – a causa dell’infortunio – ha perduto il posto. Da allora, ha cercato di guadagnarsi da vivere recuperando ferro e materiali riciclabili dalla spazzatura, ma il sequestro del furgoncino con cui si muoveva gli ha compromesso anche questa possibilità. Mai un pasto decente: si accontenta di quanto gli regala il fornaio e dei sogni proiettati sullo schermo della tv. Passa le ore seduto su lenzuola bagnate a causa dell’umidità che penetra dai muri, ai quali ha voluto appendere delle luci natalizie, che un po’ colorano quell’esistenza ai limiti della vivibilità. Intanto, gli infissi della piccola finestrella non riescono a fermare le ventate, che scuotono costantemente una tendina d’emergenza.

A casa di Daniela, invece, gli infissi sono buoni. Li ha sostituiti lei qualche anno fa, perché quelli dell’appartamento stavano cadendo a pezzi. «Guardate – ci dice indicando gli infissi del vicino – contate quante stecche mancano!». Anche l’impianto di riscaldamento l’ha fatto realizzare lei: «Sì, ma se mi mandano via – ride – mi metto anche i termosifoni in valigia».
Scherza Daniela, continuamente. D’altronde ne ha passato anche di peggiori: qualche anno fa subiva costantemente minacce da un gruppo di pusher extracomunitari che la obbligavano ogni 15 del mese a versare dei soldi per riparare ai debiti accumulati dal figlio maggiore. Ora che la situazione sembrava tornare alla norma grazie all’arresto dei pusher, tutto è crollato nuovamente con l’ordinanza di sfratto. Nell’ultima notifica c’è scritto che per il prossimo accesso, previsto il 26 gennaio prossimo, si prevede l’intervento della forza pubblica e del fabbro per l’apertura. «Non devono neanche scomodarsi, perché tanto ho la porta aperta», ironizza. «Io da qui non me ne voglio assolutamente andare, non ho alternative dove stare. Perché non si prendono l’appartamento che c’è qui sotto, che è vuoto da due anni? Ho già parlato con una finanziaria per chiedere un prestito, ma mi hanno fatto una proposta assurda e l’avvocato mi ha consigliato di aspettare».

Questo accade a 5 chilometri dalla Torre Pendente. Da una parte una famiglia che lotta per mantenere un appartamento, dall’altra – qualche decina di metri più in là – due persone relegate a vivere in una cantina, «in condizioni – spiega il medico Lamberto Di Martino, che ha sporto immediatamente denuncia presso i servizi sociali – in cui non vivrebbero nemmeno i cani».

Mentre le luci natalizie illuminano a festa il centro cittadino, a pochi passi si spengono speranze e dignità. Anche per gli italiani. E mentre usciamo da quella cantina alta un metro e cinquanta, Antonio ci ferma un istante: «Non cercatelo in Africa - ci dice -, il Terzo Mondo è qui».

11 dicembre 2011


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